Donald Trump con il presidente polacco Andrzej Duda alla Casa Bianca (Ansa)
Il mix è di quelli esplosivi. Con l’annessione russa della Crimea e il conflitto nell’est-ucraino, i fantasmi della Guerra fredda sono tornati in Europa. La Polonia è assurta più che mai a baluardo imprescindibile dell’Occidente nell’est europeo. E vuole difendersi. Il presidente Andrzej Duda e il suo governo mercoledì hanno messo sul piatto anche due miliardi di dollari pronta cassa: offrono una base permanente agli americani. La proposta sembra allettare l’inquilino della Casa Bianca, che ieri ha ricevuto il collega polacco, un po’ meno il Pentagono. Un’idea che non passerà inosservata a Mosca. Da quando Vladimir Putin comanda in Russia, il Cremlino ha un unico grande obiettivo: difendere a ogni costo la sfera d’influenza tradizionale russa.
La Crimea, il Donbass ucraino e la Siria ne sono l’epitome. Ma molti mettono in dubbio il fatto che averle trasformate in una fortezza assediata abbia aumentato la sicurezza russa? E che dire della contro-reazione della Nato, delle sanzioni economiche e del sostanziale isolamento del Paese? Nel Mar Nero e nel Mare d’Azov, Washington sta fornendo armi offensive agli ucraini.
Si rischia un’escalation, in uno scenario dirompente. Putin non ha la forza militare dell’Urss, ma è un ottimo stratega. Dal 2015 ad oggi, i suoi jet hanno violato più di 400 volte lo spazio aereo dei Paesi occidentali. I suoi velivoli spia incrociano silenti sul Baltico e la Siria, carpendo segreti e ordini di battaglia. I suoi bombardieri strategici si spingono in ricognizioni a lunghissimo raggio, fino a lambire Francia, Spagna e Gran Bretagna. I sommergibili penetrano sistematicamente nelle acque di Paesi neutrali. Ma le mosse più preoccupanti sono alle frontiere. Nelle basi del mare d’Azov e nelle marche bielorusse, ritrovi oggi 100 e passa jet da guerra che fino a poco tempo fa non c’erano. Nell’ovest russo e lungo la frontiera ucraina c’è un cordone di forze che testimonia delle nuove possibilità di manovra dell’Orso. La Nato sta puntellando da tempo la sorveglianza aerea nell’area baltico-polacca, con l’Italia in prima linea. Sta organizzando esercitazioni militari in grande stile e metterà in piedi una forza di reazione ultrarapida ancora più robusta. È un gioco di manovre e contromanovre muscolari. Le Vostok russe di metà settembre hanno coinvolto 300mila uomini nell’estremo-oriente complicato, suggellando il rinnovato asse con la Cina.
Qui si gioca l’altra partita chiave del dominio globale statunitense. Dalla fine della Seconda Guerra mondiale e della Guerra di Corea, Washington dispone, in un continuum storico con la logica del contenimento, di decine di basi permanenti alle frontiere di quel che resta del mondo comunista asiatico, con avamposti a Guam, in Corea del Sud e in Giappone. La sua supremazia nello spazio Indo-Pacifico è una sfida colossale dai mille risvolti geopolitici, dopo l’emergere della Cina e delle sue logiche espansive, foriere di una capacità di rivaleggiare con la Marina americana in tutta la regione. La forza cinese comincia a preoccupare gli Usa, per la vulnerabilità delle basi militari: 5 sono sotto la minaccia diretta dei missili di Pechino. La risposta Usa sta passando per lo snodo nel Pacifico e per una sommatoria di due concetti. Militarmente, il 60% della flotta di sottomarini lanciamissili nucleari è ormai assegnato alla base di Kitsap, nel Puget Sound. Negli anni ’80, erano al 15%. Geopoliticamente, crescono le strutture di contenimento, che passano dal partenariato militare con l’India al rafforzamento degli effettivi dei Marine a Darwin, in Australia, per continuare con il nuovo corso con il Vietnam, con il potenziamento delle pattuglie per ribadire la libertà di navigazione nel Mar Cinese meridionale e con la riattivazione della base di Subic Bay, nelle Filippine, un sito chiuso vent’anni prima.
Dal 2014, mezzo miliardo di dollari stanno permettendo di potenziare le basi aeronavali di Guam. Siamo a 3.400 km da Pyongyang, lungo un asse di difesa che corre da qui e passa per Yokosuka e Sasebo, l’antemurale eretto dagli americani per proteggere la Corea del Sud, il Giappone e Taiwan, da sempre nel mirino della Cina. Il tutto forma una piattaforma logistico-militare che ha le retrovie nell’Oceano Indiano (Diego Garcia) e nelle Hawai, e che proietta gli Stati Uniti nell’oceano mondiale. Anche l’Africa è tornata al centro della scena, con le basi permanenti di Gibuti e, presto, Agadez, nel Niger turbolento. Ecco perché l’aviazione reclama nuovi squadroni. Per rivaleggiare ovunque con Russia e Cina ne servono altri 74 entro il 2030. Una missione forse impossibile. L’Impero comincia a vacillare.
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