Bimbe in un campo profughi a Maarat Masrin, nella martoriata provincia settentrionale di Idlib: secondo le agenzie delle Nazioni Unitre i più piccoli restano i più colpiti da fame e malattie - Reuters
Due nuovi nemici da combattere: il coronavirus e la fame. È questa la fotografia della Siria del 2020, passata dalle atrocità belliche alla Repubblica di Weimar, con la peggiore inflazione che la sua storia ricordi. L’Unione Europea assiste al tracollo del Paese mediorientale senza starsene con le mani in mano. Nonostante il Covid-19 infatti l’Ue ha deciso di non cancellare la conferenza «Sostenere il futuro della Siria e della regione», organizzata insieme alle Nazioni Unite, per raccogliere fondi a favore del Paese martoriato dalla guerra e far parlare la società civile siriana. Quest’anno il summit, in forma virtuale, si tiene oggi e verrà presieduto dall’Alto rappresentate per la politica estera Ue, Josep Borrell che da Bruxelles ascolterà gli interventi delle delegazioni degli Stati donatori (che sono più di ottanta). La conferenza è stata preceduta da un calendario fittissimo di sei giorni di videoconferenze con decine di Ong siriane, internazionali, agenzie delle Nazioni Unite, Croce Rossa internazionale e diplomatici di vari governi.
Moltissimi i temi affrontati: profughi alle frontiere, ritorni volontari, parità di genere, abusi sessuali, persone scomparse, diritto d’asilo. Ma la priorità sulla bocca di tutti, al momento, sembra essere la crisi economica e il timore che la fame possa colpire una popolazione più numerosa di quanto abbiano fatto le bombe in passato: l’Onu stima in 9,3 milioni i siriani che non hanno garanzia di cibo, cresciuti solo negli ultime sei mesi di 1,4 milioni. Tre gli elementi drammatici di instabilità che, uno dopo l’altro, hanno portato la Siria al tracollo finanziario in cui si trova ora: il default economico del vicino Libano con cui è legata a doppio filo; le misure restrittive per il Covid-19 (le cui conseguenze sulla popolazione restano un segreto di Stato), che hanno portato ad un aumento della disoccupazione, e le nuove sanzioni americane contenute nel pacchetto di sanzione Usa del cosiddetto “Caesar Act”. I prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 200% in meno di un anno, ora più che mai gli aiuti umanitari dell’Ue sembrano essere vitali. Dall’inizio del conflitto nel 2011 ad oggi, Bruxelles ha stanziato più di 18 miliardi per la crisi siriana, destinati principalmente ai profughi ospitati nei Paesi limitrofi; i fondi sono stati assegnati alle varie agenzie delle Nazioni Unite, e non solo, presenti sul territorio. Ma per molti politici europei il vero nodo da sciogliere in Siria è la ricostruzione dove intere città sono ancora ricoperte da macerie. L’Unione Europea non può però dare fondi pubblici al governo siriano presieduto da Bashar al-Assad, accusato di crimini contro l’umanità. In questo senso sarebbero da intendersi anche le nuove sanzioni americane che dovrebbero portare (secondo una certa visione della Casa Bianca) ad una rivolta degli stretti collaboratori di Assad che, colpiti nel portafoglio, potrebbero obbligarlo alle dimissioni. In verità Bruxelles per far distribuire gli aiuti umanitari dentro la Siria un rapporto con il regime di Assad deve averlo per forza, anche se intermediato dalle agenzie dell’Onu.
«Se la Siria non è ancora al collasso totale è grazie alle rimesse dei siriani all’estero», racconta Abeer A., richiedente asilo a Berlino e mediatrice culturale che ha seguito molte delle videoconferenze di questi giorni. Ma per aggirare il tasso di cambio della Banca centrale siriana che trattiene fino all’80 per cento della somma, visto che attribuisce alla lira siriana un valore maggiore rispetto a quello reale i siriani ormai si rivolgono a degli intermediari. «Gli intermediari che servono sono due – spiega Abeer – uno che riceve il denaro (in un Paese terzo, tipo il Kuwait), e l’altro, in accordo con il primo, che dentro la Siria dà effettivamente la somma in lire siriane al destinatario. L’intermediario dentro la Siria solitamente è un commerciante che a sua volta utilizza gli euro accumulati all’estero, presso il primo intermediario, per pagare gli ordini delle sue merci che importa da paesi come Cina e India. Situazione completamente diversa invece nella regione di Idlib, nel Nord Ovest della Siria, dove i prezzi sono molto più stabili. L’area è controllata principalmente dal gruppo armato Hayat Tahrir al-Sham (una galassia islamista che include ex al-Nusra e molti fuoriusciti del Daesh dopo la caduta di Raqqa nel 2017). Dal 23 giugno scorso infatti i miliziani hanno iniziato a ricevere i loro stipendi in lire turche, inserendo un nuovo elemento di destabilizzazione della già complessa situazione economica siriana contagiata dalla crisi economica e dal default del vicino Libano. L’Unione Europea cerca di dare risposte concrete anche per bloccare il flusso di migranti diretti in Occidente, ma la crisi siriana sembra essere entrata, se mai ciò fosse possibile, in un vortice senza fine. La fame, anche quella, non ci voleva.