Asia Bibi. In carcere in Pakistan da 8 anni per una falsa accusa di blasfemia
Asia Bibi, la donna cristiana pakistana accusata di blasfemia e condannata a morte, ha trascorso anche questa Pasqua nel carcere di Multan. Al suo tutore Joseph Nadeem ha affidato una preghiera accorata in cui risuona forte un appello a Papa Francesco. La notizia viene riportata dalla Radio Vaticana.
“Ti prego Gesù di donarmi la libertà, spezza le mie catene, fa’ che il mio cuore possa librarsi al di là di queste sbarre”. E’ un passaggio della preghiera scritta da Asia Bibi, dal carcere di Multan dove è rinchiusa da otto anni per l’accusa di blasfemia. Nella sua cella, giovedì scorso, ha celebrato la Pasqua in compagnia di suo marito Ashiq e del tutore della sua famiglia, Joseph Nadeem: una cena frugale, lo scambio di auguri e poi Asia ha voluto scrivere la sua supplica a Dio su un pezzo di carta dove invoca la resurrezione e chiede al Padre di rimuovere gli ostacoli, alleviando le sue sofferenze indicibili. Poi prega di nuovo, come aveva fatto già a Natale, per i suoi nemici e perdona coloro che le hanno fatto del male. Infine rivolge un appello al Papa chiedendogli di non dimenticarsi di pregare per lei.
Paul Bhatti, ex ministro federale pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello del ministro cattolico Shahbaz Bhatti ucciso nel 2011 da un estremista islamico, dice: "Questo, il Papa lo fa sempre, non solo per Asia Bibi ma per tutti i cristiani, anche per i musulmani che sono vittime di ingiustizia. Perché Papa Francesco più volte ha detto che la nostra fede onora la dignità dell’uomo. Quando un uomo soffre, per noi non conta che sia cristiano o musulmano; quello che conta è la giustizia per quell’uomo e la sua libertà. Per questo io credo che il Vaticano e il Santo Padre abbiano fatto il possibile: è sempre stato aperto al dialogo, lo ha promosso e appoggia anche noi, in tutti i sensi; e poi il Papa appoggia quelle persone, in maniera particolare i cristiani, che sono perseguitati per la loro fede”.
2.860 giorni in cella
2.860 giorni in cella, alcuni in isolamento in attesa del giudizio finale della Corte Suprema pachistana che tra rinvii e dimissioni dei giudici sembra non arrivare più mentre la fondazione che cura il caso di Asia sta finendo i soldi per le spese legali.
“Nessuno purtroppo può interferire finché la Corte non lo decide - dice ancora Paul Bhatti -, anche se noi siamo convinti che prima o poi la decisione sarà favorevole. Purtroppo è ancora in carcere e soffre ancora persino in questa Santa Pasqua. Questo caso si è complicato per vari motivi, nazionali, internazionali e di conseguenza lei non ha trovato giustizia. Ma noi siamo convinti che prima o poi la troverà”.
Ancora omicidi nel nome della blasfemia
Intanto in Pakistan si allunga la lista delle esecuzioni extragiudiziali motivate da presunta blasfemia: 66 negli ultimi 27 anni. L’ultimo sconcertante episodio è avvento all’Università di Mardan dove, nei giorni scorsi, Mashal Khan, studente musulmano di giornalismo, è stato torturato e ucciso a colpi d’arma da fuoco da compagni che lo accusavano di aver offeso Maometto. Il governo del premier Nawaz Sharif, ha promesso una revisione della legge, tirata in ballo per risolvere le controversie private o per colpire le minoranze religiose ma nel frattempo continua a lanciare segnali contrastanti, ordinando di rimuovere i contenuti “blasfemi” su siti web e social media e di punire duramente chi pubblica tale materiale, siano aziende o privati.