mercoledì 26 giugno 2024
L'Unodc certifica che il bando dell'Emirato ha causato un crollo della produzione del 95%. La notizia alla vigilia del primo incontro ufficiale tra i miliziani e i rappresentanti delle Nazioni Unite
Le squadre dei taleban distruggono le coltivazioni di papaveri nella provincia di Zemul

Le squadre dei taleban distruggono le coltivazioni di papaveri nella provincia di Zemul - Ansa

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«Ora viene il narco-stato taleban», scriveva l’analista Elaine Shannon sul Washington post il 17 agosto 2021. Due giorni prima gli ex studenti coranici erano tornati al palazzo presidenziale di Kabul, mettendo fine a vent’anni di Repubblica filo-occidentale. Immediatamente, i principali media internazionali hanno paventato il rischio che i fondamentalisti incrementassero la già florida produzione di oppio per supplire al taglio degli aiuti. Le tasse estorte ai coltivatori di papaveri erano state una lucrosa fonte di finanziamento durante il conflitto. Riconquistato il potere, però, i taleban hanno deciso di cambiare strategia. Nell’aprile 2022 hanno imposto il bando, diventato operativo nell’autunno successivo, il periodo della nuova semina. Le loro “squadre speciali” si sono premurate, con il pugno di ferro, che l’ordine non restasse sulla carta.

Dopo quasi tre anni di Emirato islamico d’Afghanistan, i campi di papavero sono, così, praticamente scomparsi. A certificarlo è l’Ufficio Onu contro la droga e il delitto (Unodc). Nel tradizionale rapporto annuale, pubblicato oggi, si registra un calo del 95 per cento dei raccolti. Poiché il Paese assicurava, finora, oltre l’80 per cento dell’offerta globale, questa è crollata del 74 per cento nel corso di dodici mesi.

Una parte della produzione si è spostata nel vicino Myanmar, dove c’è stata un contemporaneo aumento del 36 per cento, favorito anche dal caos politico a causa della rivolta in ampie regioni alla giunta golpista. Nel breve periodo, però, è impossibile trasferire oltreconfine un’estensione di piantagioni da oltre 230mila ettari. Il 2023, dunque, ha visto una quantità d’oppio pari a un quarto del solito. Le implicazioni si profilano dirompenti su più livelli. Primo, su scala locale, milioni di agricoltori afghani, già in miseria dopo oltre mezzo secolo di guerra, si sono trovati senza la principale fonte di reddito.

L’Institute for peace, un centro di ricerca indipendente, ha quantificato le perdite in quasi un miliardo di euro. L’oppio rappresentava un terzo della produzione agricola nazionale. In alcune regioni, però, come Helmand, Kandahar, Farah e Nangarhar, l’intera economia era costruita intorno ai papaveri. Ed è crollata. Schiacciando le esistenze di milioni di donne e uomini. Sul piano globale, poi, la carenza d’oppio ha fatto quintuplicare i prezzi dell’eroina, arricchendo quanti, nelle reti di trafficanti, si erano premuniti di fare scorte. Queste ultime ci sono e sono ingenti, come sottolinea l’Unodc: la prova è che in Europa, principale mercato della droga afghana, la polvere bianca continua a circolare. Almeno per il momento.

Nel prossimo futuro, però, il panorama è destinato a cambiare. E non in meglio. Secondo gli esperti Onu, l’eroina potrebbe essere sostituita con oppioidi sintetici, più economici e pericolosi, come il Fentanyl - 50 volte più letale - o i nitaceni, perfino più potente. C’è, infine, una questione tutt’altro che secondaria. Perché i taleban hanno dichiarato guerra all’oppio, rinunciando a un introito chiave in un momento di crisi acuta dovuta all’isolamento internazionale? Proprio l’isolamento internazionale è la chiave per decifrare l’enigma.

La certificazione ufficiale dello smantellamento dei campi di oppio da parte dell’Onu arriva a quattro giorni dall’incontro di Doha, il primo tra rappresentanti delle Nazioni Unite e una delegazione di taleban. Un fatto inedito e controverso. Formalmente nessuno Stato riconosce l’Emirato, creato dopo il ritiro delle forze Usa e Nato. Per questa ragione, dalla sua instaurazione, Washington ha congelato i sette miliardi di dollari di fondi della Repubblica depositati nelle banche statunitensi. La metà è, tuttora, bloccata. Di fronte all’esplodere di un’emergenza umanitaria senza precedenti – con due terzi della popolazione alla fame – l’Onu ha elargito sette miliardi di dollari – quanto la cifra congelata – in assistenza umanitaria. Una scelta in parte obbligata per non far pagare ai cittadini le scelte del governo fondamentalista. Nella sostanza – seppure la forma è meno plateale –, il “nuovo” Emirato somiglia al “vecchio” del mullah Omar. I taleban hanno occupato tutte le posizioni di potere, escludendo opposizione, minoranze e donne. Queste ultime, in realtà, non sono tagliate fuori dalla sola arena politica. Nonostante le promesse del 2021, il regime ha emanato una serie di provvedimenti che impedisce loro di esercitare una serie di professioni, viaggiare da sole per più di 75 chilometri e, soprattutto, di studiare dopo le elementari.

Misure inaccettabili agli occhi della comunità internazionale che pone i diritti femminili come linea rossa per un’eventuale apertura nei confronti dell’Emirato. Ecco perché l’incontro di Doha di domenica ha suscitato tanta polemica. Alla prima riunione Onu sull’Afghanistan, nel maggio 2023, i taleban non erano stati invitati. Lo scorso febbraio, invece, erano stati loro a dare forfait al secondo vertice, in extremis, a causa della presenza di gruppi per la difesa dei diritti delle donne. Stavolta questi ultimi non ci saranno, nessuna delegata parteciperà ai lavori e la questione femminile non sarà oggetto delle discussioni.

Molte organizzazioni della società civile afghana e attivisti internazionali hanno gridato al «tradimento» da parte delle Nazioni Unite. Oltretutto Doha evoca nell’opinione pubblica il tragico ricordo dell’accordo raggiunto con i taleban dall’amministrazione Trump alle spalle del governo repubblicano e sorvolando sulla questione femminile. Roza Otunbayeva, inviata speciale Onu per l’Afghanistan, ha categoricamente escluso che si tratti di un cedimento. «È un primo passo per iniziare a parlarci». I dossier da esaminare si concentreranno, dunque, sulla crisi economica, il dopo-guerra, la stabilità regionale e il narcotraffico. Tema, quest’ultimo, «fondamentale», secondo la sottosegretaria Onu Rosemary DiCarlo. I taleban lo sanno. Da qui l’ansia di avere dei risultati da portare al tavolo. Le donne, ancora una volta, possono attendere.

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