Il presidente Usa Donald Trump (Ansa)
Il limite è stato passato e la soluzione della crisi coreana sembra solo in mano americana. Pechino ha evidenziato il suo disinteresse a mettere le redini al regime di Pyongyang. Il suo ruolo si gioca tra due fattori: impedire che si concretizzi una Corea unificata sotto influenza statunitense alle frontiere; evitare che una crisi del regime nordcoreano mandi milioni di profughi entro i suoi confini.
IL FATTO Usa e Sud Corea lanciano missili in risposta a Pyongyang
L’atteggiamento di Seul è un altro problema per l’alleato militare statunitense. Il presidente Moon Jae-in sembra convinto che tenere una qualche distanza da Washington e finanziare direttamente o indirettamente Kim Jong-un potrebbe aprire nell’immediato alla distensione e in prospettiva a un cambio di linea a Pyongyang. Una lettura che sembra non tenere conto di precedenti esperienze fallimentari. Degli altri protagonisti della crisi, la Russia è ostile a una soluzione che veda Washington protagonista e il Giappone è impegnato soprattutto a capire come contrastare una situazione di conflitto mentre le sue acque sono diventate poligono di tiro della missilistica nordcoreana.
Una situazione che lascia poco spazio alla diplomazia ma lascia invece Pyongyang trionfante, con un potenziale ricattatorio ancora più elevato, e gli Stati Uniti davanti a scelte comunque perdenti: ignorare le mosse nordcoreane diventando zimbello di avversari e alleati; aprire nettamente al dialogo da una posizione però di forte debolezza rispetto al passato; colpire preventivamente installazioni militari del Nord se non addirittura cercare di decapitare il regime. Attivando con ogni probabilità - ancor più in caso di errore - l’immediata ritorsione verso il Sud con l’apertura di uno scenario da incubo in Estremo Oriente.