martedì 24 aprile 2018
La gente si oppone alle riforme draconiane imposte dal governo "sandinista" sulle pensioni. Domenica anche il Papa aveva lanciato un appello al dialogo tra le parti: «Cessi ogni violenza»
In Nicaragua dilaga la rivolta contro Ortega: già 29 le vittime
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La riforma delle pensioni è stata il detonatore. Ecco perché ora che il governo di Daniel Ortega ha ritirato la controversa misura, la rivolta non si arresta. Anzi è cresciuta di intensità. La protesta ha, però, mutato pelle: l’obiettivo ora è il ritiro di Ortega, al potere dal 2006, dopo aver cambiato la Costituzione per abolire il limite dei due mandati presidenziali. I cortei anti Daniel – come viene chiamato l’ex guerrigliero passato al neoliberismo – agitano l’intero Nicaragua. I dimostranti – con gli universitari in prima linea - sono scesi in piazza anche ieri vestiti di bianco, con in mano la bandiera nazionale.

Le forze di sicurezza continuano ad il pugno di ferro: il bilancio ufficiale della repressione è salito a 29 vittime, tra cui il giornalista Ángel Gahona, incaricato di seguire le dimostrazioni, i feriti sono quasi 500 e cento gli arrestati. Comprensibile, dunque, la “preoccupazione” espressa da papa Francesco al termine del Regina Coeli di domenica. Bergoglio si è unito ai vescovi Paese nel chiedere “che cessi ogni violenza, si eviti un inutile spargimento di sangue e le questioni aperte siano risolte pacificamente e con senso di responsabilità”. Al momento, però, i margini di dialogo sono esigui, come ha sottolineato il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez, data l’intransigenza di Ortega. Paragonato dai manifestanti a Somoza, il dittatore che l’attuale leader contribuì a destituire con la rivoluzione sandinista del 1979.

Negli ultimi 12 anni, in effetti, Ortega ha creato un sistema in cui il suo clan familiare ha ottenuto ampie quote di potere, a partire dalla moglie e vicepresidente Rosario Murillo. Per garantirsi consensi, inoltre, il governo ha fatto molte concessioni ai settori imprenditoriali e ai vecchi latifondisti. Questo spiega perché gran parte dei leader storici del sandinismo – da Gioconda Belli a Ernesto Cardenal a Dora María Téllez – abbiano preso le distanze. Lo scrittore Sergio Ramírez – vicepresidente durante il primo mandato di Ortega dal 1985 al 1990 – ha dedicato il Premio Cervantes, appena ricevuto a Madrid, alla “gente scesa in piazza nonostante la violenza”.

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