L'ex presidente brasiliano Luiz Inacio «Lula» da Silva
Non c’è confine tra la zona industriale e il resto della città. Le sagome ciclopiche dei casermoni incombono perfino sul centro. Basta salire al piano superiore di qualunque edificio per ammirarle in tutta la loro imponenza d’acciaio. Del resto, le prime “montadoras” distano poco più di un chilometro dalla chiesa della Matriz. Si chiamano così gli impianti di assemblaggio di autovetture che, dagli anni Cinquanta, hanno trasformato São Bernardo do Campo e i suoi “municipigemelli” nella zona a più alta concentrazione industriale del Brasile. Nel solo comune, a 28 chilometri da San Paolo, si contano 57mila imprese – tra aziende familiari e multinazionali –, per un totale di 240mila impiegati. La maggior parte – circa 100mila – nel comparto automobilistico. Per questo, gli economisti l’hanno ribattezzata la “Detroit latina”. Per il popolo delle fabbriche, però, São Bernardo è “la casa di Lula”. “Lula-landia”, scherzano i più giovani. Perché la città è indissolubilmente legata alla storia e al mito dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva. A cominciare dallo stesso nome. Il pernambucano – Stato del nord-est dove è nato – Luiz Inacio da Silva è diventato “Lula” nella “montadora” Villares, dove è entrato nel 1966. I metallurgici sono soliti darsi un soprannome. Al futuro leader è toccato Lula, “calamaro”, una storpiatura di Luiz Inacio. Da Silva ha finito per affezionarvisi, tanto da farselo aggiungere all’anagrafe. Del resto, è stato Lula e non Luiz Inacio a rendere São Bernardo e la regione dell’Abc – dalle iniziali dei comuni principali, Santo André, São Bernardo, São Caetano do Sul – la più acuminata spina nel fianco della dittatura che oppresse il Brasile tra il 1964 e il 1985. Attraverso la lotta sindacale, prima ancora di fondare, nel 1980, il Partido dos trabalhadores (Pt).
Il cuore di Lula-landia è un edificio moderno e anonimo, dall’esterno. Varcata la soglia del “Sindicato dos Metalúrgicos do Abc”, però, il racconto di quel periodo turbolento e del suo protagonista indiscusso emergono con veemenza. Sulla parete di fronte, c’è la foto di un gio- vane barbuto che arringa la folla. A fianco, la sua frase più celebre: «Che nessuno, mai più, osi dubitare della capacità di lotta dei lavoratori». Bisogna avvicinarsi per scorgere dietro la capigliatura folta e corvina, i tratti del presidente canuto che, nel 2010, ha concluso il mandato con l’82 per cento di popolarità. E ora è imputato in cinque processi per lo scandalo di tangenti nel colosso petrolifero statale Petrobras. Eppure, gli ultimi sondaggi di Cnt/Mda, del 15 febbraio, danno Lula come favorito alle presidenziali del 2018, con uno “zoccolo duro” superiore al 30 per cento. Sempre che decida di candidarsi per un “Lula-três”. E il governo di Michel Temer – subentrato a Dilma Rousseff, rimossa con l’accusa di aver ritoccato i conti pubblici – non riesca a impedirglielo. «Spero di cuore che si ripresenti. Non è solo il “suo” sindacato a chiederglielo. I movimenti sociali e i lavoratori lo aspettano. Perfino i “cochinhas” (l’élite) hanno nostalgia di Lula e della sua capacità di mediare, favorendo la produzione», ride José Roberto Nogueira, segretario organizzativo del sindacato, e conosciuto, come da tradizione dei metallurgici, con il nomignolo di “Bigodinho” (Baffone). Nostalgia – “saudade” – è la parola più spesso ripetuta a São Bernardo a proposito di Lula. La cui figura è associata all’“età dell’oro brasiliana”. Un periodo – il primo decennio degli anni Duemila – nel quale il Paese è cresciuto al ritmo del 7 per cento annuo e 40 milioni di persone sono uscite dalla povertà. Il crollo dei prezzi delle materie prime – di cui il Gigante del sud è esportatore – ha messo brutalmente fine al boom. E al governo del Pt, rappresentato da Rousseff, il 31 agosto scorso. «I grandi media, vicini all’opposizione, hanno fatto di tutto per distruggere l’immagine del Pt. L’hanno fatto a pezzi. E, in parte, ci sono riusciti. Con Lula, però, hanno fallito. È il leader di cui il Brasile ha necessità per ritrovare speranza», afferma José Fredi, rappresentante della Central única dos trabalhadores (Cut) di San Paolo, confederazione sindacale di cui Metalúrgicos do Abc è parte.
Geovaldo Gómes dois Santos risponde più volentieri se lo chiamano “Bahiano” (originario di Bahía), il suo “nome di la- voro”, nei trent’anni trascorsi alla Volkswagen di São Bernardo. Ha conosciuto Lula nel 1975, appena quest’ultimo era stato eletto leader del sindacato. «Ho partecipato agli scioperi del 1978, 1979 e 1980. Quella volta abbiamo fermato le “montadoras” per 41 giorni. Senza la lotta pacifica, non avremmo ottenuto la giornata di otto ore, un vitto decente, condizioni più umane e il ritorno ad un sistema democratico. Lula era in prima linea. E lo è stato anche dopo, come presidente. Se mio figlio ha potuto studiare all’Università è grazie alla sua legge sulle quote per i ragazzi con meno risorse», afferma.
L’Universidade federal do Abc – aperta durante il mandato di Da Silva insieme ad altri 17 atenei nel Paese – è la tappa più recente dello spontaneo “Lula-tour” per le vie di São Bernardo. Ci si arriva dopo le soste nella piazza della Matriz e nello stadio di Vila Euclide, roccheforti delle manifestazioni più infuocate. L’epicentro del lulismo resta, però, la sede dei Metálurgicos, non lontano dalla residenza attuale dell’ex presidente. quest’ultimo vi si reca di frequente. L’ultima volta è stato il 4 febbraio, quando al terzo piano dell’edificio, è stata allestita la camera ardente della moglie, Marisa Leticia. A dare le condoglianze al vedovo sono venuti in 20mila. Dilma, invece, non l’hanno mai amata. «Con lei era diverso. L’abbiamo votata solo perché ce l’ha chiesto Lula», dicono a bassa voce. Già Lula. A lui, ora, spetta la parola decisiva. «Deve solo dirci sì – afferma “Bigodinho” –. E noi ci batteremo con e per lui. Come ai vecchi tempi».
4. Continua