«La forza che anima l’attacco a questi programmi è il tentativo di esorcizzare quello che il presidente considera evidentemente il demone della diversità. L’obiettivo dell’Amministrazione non è cambiare la politica migratoria, ma tagliare l’immigrazione in sé». È stato il Washington Post, ieri, a sottolineare in che modo Donald Trump abbia «avvelenato» il dibattito sull’immigrazione con i suoi «insulti» a messicani ed islamici che «sono un oltraggio alla tradizione americana ed ai suoi valori». Senza contare che con «la disoccupazione ai minimi storici degli ultimi 16 anni, le politiche di Trump rischiano di rallentare l’economia togliendole le energie e l’entusiasmo dei nuovi arrivati che hanno nutrito le ambizioni del nostro Paese sin dalla sua nascita».
L’ultima mossa dell’Amministrazione repubblicana è stato l’annuncio alle Nazioni Unite di sfilarsi dal Global Compact on Migration, l’accordo dell’Onu sui migranti. Dopo aver detto addio all’Unesco e all’accordo sul clima di Parigi, e nel solco della sua politica dell’«America First» («Prima l’America»), Trump compie un passo ulteriore, che va peraltro ad unirsi al suo progetto di un muro al confine con il Messico e ai suoi decreti sul bando di ingresso nei confronti dei cittadini di sei Paesi islamici. A quest’ultimo proposito, poche ore dopo l’addio al Global Compact, la Corte Suprema ha dato il via libera – con una maggioranza di sette a due – alla piena applicazione del provvedimento che impone stretti limiti all’ingresso di cittadini provenienti da sei Paesi a maggioranza islamica: Ciad, Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen. Gli scorsi mesi, questa versione del cosiddetto “muslim ban” – la terza da gennaio – era stata bloccata in parte dai ricorsi dei tribunali locali. Ora, sarà integralmente operativa, ignorando le sentenze di grado inferiore.
Washington, dunque, punta alla chiusura. Nikki Haley, l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, nello spiegare l’abbandono dell’accordo Onu sui migranti, l’ha definito «non è in linea con le politiche americane». «Le decisioni sulle politiche migratorie devono essere prese dagli americani e dagli americani solo», ha aggiunto senza lasciare adito a dubbi. D’accordo il segretario di Stato Usa Rex Tillerson: l’intesa delle Nazioni Unite mette a rischio i «diritti sovrani degli Stati Uniti nell’attuazione di leggi sull’immigrazione e di tutele dei confini». «Non possiamo semplicemente sostenere in buona fede» l’accordo.
Il patto promosso dall’Onu era stato lanciato nel corso del summit straordinario su migranti e rifugiati del settembre 2016 e prevede un impegno internazionale tra 193 Paesi per «una migrazione sicura, ordinata e regolare», con un programma che deve essere definito entro il 2018. Il patto sostiene inoltre i diritti dei profughi, aiutando a promuovere il loro reinsediamento e l’accesso al lavoro e all’educazione. Nel messaggio diffuso nei giorni scorsi per la celebrazione della Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2018 papa Francesco ha citato anche il patto per le migrazioni, nella speranza che il programma da definire il prossimo anno sia ispirato da «compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace». «Solo così – prosegue il Papa – il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza».
All’Onu la decisione Usa è stata accolta con aria di delusione e rammarico. «La migrazione è un fenomeno globale che richiede una risposta globale e il multilateralismo resta la strada migliore per affrontare le sfide globali», ha evidenziato il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Miroslav Lajcak, invitando le Nazioni Unite a non mollare e non perdere l’occasione «per migliorare le vite di milioni di persone nel mondo». Ma il multilateralismo sostenuto dall’Onu su un tema delicato come l’immigrazione non è conforme ai principi dell’amministrazione Trump, che ha fatto della lotta agli irregolari uno dei suoi cavalli di battaglia, porta avanti il suo pugno duro sull’immigrazione dai tempi della campagna elettorale. L’addio all’accordo sui migranti si va ad aggiungere all’uscita degli Stati Uniti dall’Unesco e soprattutto all’accordo sul clima di Parigi, ma anche alle «minacce» di Trump di abbandonare la Nato, l’accordo di libero scambio del Nafta e l’accordo sul nucleare iraniano.Gli Stati Uniti di Barack Obama sono stati parte dell’intesa sui migranti, noto anche come dichiarazione di New York, fin dalla firma nel settembre 2016. La dichiarazione non vincolante punta ad assicurare i diritti dei migranti e il loro ricollocamento, con l’obiettivo di arrivare tramite trattative a un «Global Compact» da adottare nel 2018. Il ritiro degli Usa è arrivato alla vigilia della conferenza mondiale sulla migrazione, che si aperta ieri a Puerto Vallarta, in Messico.