Un memoriale allestito davanti al ministro dell'Interno a Città del Messico per ricordare i giornalisti assassinati (Ansa/Epa)
Aquattro giorni dall’omicidio di Alicia Díaz González, un altro giornalista èstato assassinato in Messico. Il sesto da gennaio. Il 43esimo nei sei anni dimandato del presidente Enrique Peña Nieto. Stavolta la vittima è HéctorGonzález Antonio, corrispondente del quotidiano Excélsior dal Tamaulipas, Statoall’estremità orientale del Messico, trai più violenti del del Paese dell'America Centrale, con oltremille vittime l’anno scorso. Il corpo senza vita del reporter è stato trovatosu una strada sterrata a pochi passi dal confine statunitense. Secondo laProcura, González Antonio è morto per le botte ricevute.
I giornalisti –insieme a sacerdoti, attivisti per i diritti umani e candidati alle elezionidel primo luglio – sono tra le categorie a rischio nel Paese, dove una guerrainvisibile quanto cruenta ha raggiunto l’assurdo record di novanta mortiammazzati al giorno. Gli inquirenti non si pronunciano sul movente, ma non èdifficile intuire la mano del crimine organizzato dietro il delitto.
Il Tamaulipas è uno degliepicentri della narcoguerra. I narcos – che hanno corrotto interi pezzi diistituzioni e agiscono con la complicità di gran parte delle autorità - hannoormai operato un salto di qualità: il loro obiettivo è il controllo delterritorio. In particolare delle aree “periferiche” rispetto a Città delMessico. Per ottenerlo e mantenerlo, impiegano l’arma del terrore. Uccidere ungiornalista significa, dunque, inviare un messaggio alla popolazione. Questospiega perché Reporters sans frontiers considera il Messico la nazione piùpericolosa per i giornalisti. Solo la Siria, dove è in corso un conflittoufficiale, lo eguaglia.