L'ordinario militare per l'Italia, arcivescovo Santo Marcianò
È «preoccupato» per «un clima di terrore e di violenza che non si arresta». Dopo l’attentato ai nostri soldati, l’arcivescovo Santo Marcianò, Ordinario militare per l’Italia, sa che con quel clima «purtroppo siamo ancora chiamati a confrontarci».
E ora, quali sono le sue sensazioni ed emozioni?
Mi sento vicino al dolore dei nostri militari e al dramma delle loro famiglie. Subito dopo l’attentato, abbiamo condiviso lo sconcerto e l’urgenza di essere vicini ai nostri militari feriti e alle famiglie. È quel che facciamo costantemente, questa vicinanza umana caratterizza il ministero di un sacerdote tra i militari. La 'guerra a pezzetti' di cui parla papa Francesco sembra non spegnersi, nonostante gli sforzi.
Ha ancora un senso, e soprattutto serve davvero, l’impegno dei nostri militari in certe zone?
Solo qualche anno fa, nel 2014, il cardinale Parolin, rivolgendosi all’assemblea dell’Onu, ha stigmatizzato il rischio che una certa 'apatia' della comunità internazionale sia 'sinonimo di irresponsabilità'. Parlava della responsabilità delle Nazioni Unite di non restare passivi dinanzi alle ostilità subite da popolazioni indifese. In quel contesto veniva citato l’accorato appello di papa Francesco per le vittime delle violenze nel nord Iraq e alla comunità internazionale 'a intervenire per la fine della tragedia umanitaria'.
Con la forza?
È chiaro che un tale intervento deve essere anzitutto un’opera di carattere diplomatico, che solo in casi estremi può giustificarsi un 'uso proporzionato della forza'. Si inserisce qui il senso e il valore della presenza dei nostri militari in aree di crisi. Le Nazioni Unite devono essere garanti di una azione che ristabilisca realmente giustizia e pace.
Lei ha detto che va sostituito «il clima di terrore e odio violento con il rispetto e la carità fraterna». È possibile?
In Iraq, come nella vicina Siria, la violenza di questi anni ha lacerato i rapporti usando anche la religione per contrapporsi. Proprio il dialogo interreligioso, oggi, è via privilegiata per una logica di rispetto e carità.
Viene in mente di nuovo il Papa.
Le sue parole e i suoi gesti hanno segnato cuore e mente di tanti credenti, musulmani e cristiani che insieme credono nella possibilità della pace.
La storia sembra insegnare nulla e nemmeno la strage di sedici anni fa a Nasiriyah…
È drammatico, la storia sembra sempre ripetersi, la violenza di 16 anni fa pare tornare come un incubo. Abbiamo il dovere di custodire la memoria perché sia stimolo e insegnamento per un rinnovato impegno per la pace, anche alla luce degli errori del passato.
Quel ricordo è ancora vivo?
Sì. Rinnova la sofferenza per i tanti militari morti nei diversi teatri operativi. Il loro sacrificio è un monito per il nostro impegno per la pace e una responsabilità perché non prevalga mai la logica dell’odio e della vendetta.