Il presidente Nicolás Maduro al seggio a Caracas - Ansa
Ventidue su ventiquattro. Con quella alle legislative di ieri, il chavismo ha vinto ventidue comizi dalla conquista del potere, nel 1999. Delle due sconfitte, proprio quella per il controllo del Parlamento di cinque anni fa era stata la più bruciante. L'altra – che ampliava il collettivismo nella Costituzione – risaliva ai tempi di Hugo Chávez e il sistema era stato in grado di assorbirla con facilità. Nel 2015, invece, con ormai al potere il delfino Nicolás Maduro, la batosta alle politiche aveva consentito all'opposizione di controllare un'istituzione chiave, proprio nel momento di debolezza del governo. Per questo, stavolta il presidente non ha voluto correre rischi, disegnando la competizione a propria misura.
Maduro ha cambiato le regole del gioco – dal numero dei deputati al sistema di designazione di una parte di questi ultimi –, costringendo, di fatto, l'opposizione, guidata da Juan Guaidó a boicottare il voto, auto-escludendosi. La manovra – che ha portato Stati Uniti, Unione Europea e gran parte della campagna elettorale ad anticipare il mancato riconoscimento dei risultati – ha garantito al partito chavista – il Partido socialista unido de Venezuela – una scontata vittoria, con oltre il 67 per cento delle preferenze.
Il capo dell'opposizione Juan Guaidó - Ansa
Alle urne, però, nonostante la martellante propaganda e i puntos rojos fuori dai seggi - dove i votanti potevano accedere a sussidi-extra - si è recato neanche un cittadino su tre: in pratica il 69 per cento degli aventi diritto al voto ha disertato i seggi. «Con questa Assemblea abbiamo una nuova speranza», ha detto Maduro. «È una farsa – ha risposto Guaidó –. Nonostante la propaganda e la censura, la gente è stanca di Maduro e l'ha dimostrato con l'astensione. E noi non ci arrenderemo».