Alcuni venezuelani per protesta contro le riforme hanno buttato i vecchi biglietti da 100 bolivares, Ansa
«Alla vigilia di una riforma, c’è una sola cosa da fare: vendere il poco che si ha, procurarsi un po’ di moneta e fare scorta di tutto il possibile. Perché di sicuro dall’indomani andrà peggio». Roland si è attenuto scrupolosamente alla prima regola del manuale di sopravvivenza non scritto nel Venezuela in crisi permanente. Ha liquidato al fiorente mercato nero il mobilio di casa – incluso il vecchio pc con cui faceva le relazioni per l’istituto scolastico in cui insegna – e con i bolívares incassati, non tanti ma meglio di niente, ha cercato di fare incetta di benzina. Non è stato fortunato. Altri l’hanno preceduto. Risultato: da giorni i distributori sono congestionati, molti, rimasti a secco, hanno chiuso i battenti. Nemmeno il “bachaqueo” – la vendita di contrabbando – non riesce a soddisfare l’impennata di richieste. Altrimenti Roland vi avrebbe fatto ricorso. Perché, crede, qualunque sia prezzo attuale, presto costerà di più. Mancano 24 ore al “gasolinazo”, ossia all’eliminazione dei sussidi sulla benzina che ne hanno tenuto il valore al livello più basso al mondo: 6 bolívares al litro, 0,0000002 dollari (al cambio clandestino, quello di fatto vigente). Ciò significa che con un dollaro si possono riempire settecento serbatoi. Ora, però, si cambia. «Il carburante sarà venduto al prezzo di mercato», ha annunciato il presidente Nicolás Maduro. A quanto di preciso ancora non si sa. L’incremento del costo del carburante è uno dei cardini del piano di riassetto economico varato dal governo.
Il governo toglie cinque zeri al bolívar
Da oggi, quando entrerà in vigore, circolerà una nuova moneta, il “bolívar sovrano”, che ha cinque zeri in meno di quella attuale, ed è ancorata al “petro”, la criptovaluta nazionale, equivalente a un barile di petrolio, cioè 60 dollari o 3.600 bolívares sovrani. Da quest’ultimo dipenderà anche lo stipendio minimo appena fissato a 1.800 bolívares sovrani, con un aumento del 3.464 per cento, cioè quasi 36 volte in più dell’attuale. «Attraverso questo sistema otterremo l’equilibrio valutario della moneta, del salario e del prezzo», ha detto il presidente assicurando di aver trovato la «formula» per uscire dal baratro. La riforma monetaria dovrebbe aiutare a semplificare i conti e a ridurre la quantità di denaro in circolo. Essa si accompagnerà a un pacchetto di misure che includono l’incremento dell’Iva, che passerà dal 12 al 16 per cento, e la flessibilizzazione del cambio tra bolívar e dollaro. L’obiettivo principale è quello di combattere l’iperinflazione che, entro l’anno, secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), dovrebbe raggiungere il milione per cento. E attrarre capitali stranieri. Secondo l’opposizione – sempre più “sfilacciata” in una pluralità di sigle –, però, si tratta di misure cosmetiche, contraddittorie e inutili. Difficile – afferma – che gli investitori stranieri si fidino del governo venezuelano, mentre, con tutta probabilità, l’entrata in circolazione della nuova valuta creerà, almeno nel breve periodo, un ulteriore rialzo dei prezzi. Di fronte alla minaccia di sciopero generale ventilata da quest’ultima, Maduro ha dichiarato festivo il 20 agosto per facilitare la transizione monetaria che dovrebbe protrarsi per qualche settimana. In realtà, già da venerdì, molti esercizi hanno chiuso in attesa di capire che cosa accadrà.
Il dilemma della benzina
A preoccupare i venezuelani è soprattutto il “nodo” della benzina. Per tenerla a un prezzo irrisorio, il governo ha sborsato nell’ultimo anno l’equivalente di 5,5 miliardi di dollari. Cioè – afferma Asdrúbal Oliveros, direttore di Ecoanalítica – il triplo della spesa per educazione, salute e sicurezza. Sul fatto che non possa più permetterselo, concordano anche gli anti-chavisti. Oltretutto, Pdvsa, colosso petrolifero statale, non è più in grado di soddisfare una domanda che il prezzo calmierato tiene alta. Con il 40 per cento delle raffinerie fuori uso per mancanza di manutenzione e i pozzi dissestati, la produzione cala di un 5 per cento l’anno. Non solo. Circa metà del greggio viene trafficato nella vicina Colombia, dove il carburante ha costi tra i più alti del Continente. Con una perdita per la compagnia di 2,2, miliardi di dollari l’anno. Sconfiggere il “bachaqueo” (contrabbando) di carburante lungo i 2.200 chilometri di frontiera fra i due Paesi è una delle motivazioni con cui Maduro ha giustificato l’aumento. Un’arma a doppio taglio. I 100mila barili al giorno che, secondo le stime di Pdvsa, fluiscono in Colombia attraverso 250 vie di collegamento illegali o “trochas”. sono l’ultima spiaggia per migliaia e migliaia di venezuelani disperati. Ovvio, i grossi introiti finiscono nelle mani delle mafie, di cui fanno parte agenti di entrambi i lati del confine nonché numerosi funzionari chavisti. Ma le briciole permettono la sopravvivenza di tanti. Inimicarsi gli uni e gli altri può essere pericoloso per il traballante governo. Di questo è consapevole lo stesso presidente. Per tale ragione, il governo ha precisato che il rincaro non toccherà gli intestatari del “carnet de la patria”, la tessera che consente di ottenere sussidi statali. Ce l’ha la metà della popolazione, «forzata», dice l’opposizione, a sostenere il chavismo. Ora la libertà di manovra sulla benzina darebbe a quest’ultimo – affermano i critici – un ulteriore strumento di ricatto. Forse, più banalmente, il “carnet de la patria” terrà in vita il “bachaqueo”, il mestiere più diffuso nel Venezuela della crisi.