Reuters
Comincia il secondo anno di guerra. Con una avvertenza: «Nei prossimi tre giorni per favore non sottovalutate le sirene», dicono nell’hotel dov’è di stanza la gran parte dei reporter a Kiev. Lo chiamano «effetto anniversario», e si vede per le strade dove ben prima del coprifuoco delle 23 le auto sono sparite dalla circolazione e si preparavano caraffe di té caldo da tenere a portata di bunker.
«Un anno fa nessuno si aspettava l’attacco sulla capitale – osserva con fatalismo un poliziotto –, e ora che tutti ci aspettiamo una tempesta di missili, chissà che non succeda nulla». I più ottimisti escludono che la rappresaglia sulla capitale possa arrivare oggi. Non perché il Cremlino non voglia onorare alla sua maniera la sinistra ricorrenza, ma perché entro la giornata dovrebbe essere ufficializzata la proposta di negoziato cinese, dopo che Pechino ne ha discusso direttamente con Putin e ne avrebbe trasmesso una sintesi a Kiev.
I segnali raccolti fino ad ora sono contrastanti. Un drone russo, probabilmente caricato con dell’esplosivo, è stato abbattuto a metà mattinata sul cielo di Kiev. Sul confine Bielorusso, a cento chilometri dalla capitale, sono stati visti convogli militari senza insegne addossati alla frontiera, proprio come un anno fa. «Da giorni è come se stessero misurando i nostri tempi di reazione», dice una fonte militare che richiama l’attenzione sulla «diversificazione» degli attacchi di questa settimana su tutto il Paese: droni kamikaze, alcuni missili, artiglieria, razzi e assalti ravvicinati a Bakhmut, la città del Donbass che Mosca avrebbe voluto mostrare in trofeo nel giorno 365 di guerra.
Al largo del Mar Nero una dozzina tra incrociatori e fregate sono tornati in posizione d’attacco, dopo aver caricato nei porti della Crimea una quarantina di missili. A Odessa è stato arrestato un uomo che stava esplorando le posizioni delle forze di difesa aerea e che prendeva nota con puntiglio dei risultati degli attacchi missilistici sulle infrastrutture critiche e sul ponte di Zakota, colpito a inizio mese da un drone subacqueo russo. Mentre a Donetsk, la città ucraina controllata dai russi nell’Ucraina orientale, sono stati uccisi dai bombardamenti tre operatori di ambulanze che cercavano di evacuare le persone dalle loro case. Lutti per i quali nessuno si assume la responsabilità. Due giorni fa tanti si aspettavano la risposta armata allo smacco di Biden, giunto a passeggiare nella metropoli che Putin voleva conquistare in una settimana, ma che a distanza di un anno conserva traccia dell’esercito russo solo nell’esposizione della ferraglia dell’Armata Russa, distrutta durante il fallito assedio ed ora esposta nelle vie del centro.
Un museo a cielo aperto della sconfitta di Putin, che prima di riaprire le porte alla trattativa potrebbe voler sbattere i pugni sul tavolo schiacciando altri pulsanti missilistici. Ieri lo stato maggiore di Kiev ha dichiarato che le sue forze hanno respinto gli assalti russi lungo tutta la linea del fronte, mentre il Cremlino, ancora a mani vuote dopo la sanguinosa offensiva invernale, è tornato a evocare la potenza dell’arsenale nucleare.
Come aveva preannunciato durante l’incontro con Giorgia Meloni, il presidente Zelensky ha ribadito che l’attenzione di Xi Jinping e il fatto che la Cina «abbia iniziato» a parlare della guerra in Ucraina «non è negativo». Dopo aver visto giovedì il premier spagnolo Pedro Sánchez, il leader ucraino è stato più esplicito. «Ci piacerebbe un incontro con la Cina, è negli interessi dell’Ucraina», ha aggiunto spiegando che occorre coinvolgere più Paesi possibili «nell’equazione della pace». Apertura, ma cauta: «Dopo che avremo visto il piano cinese nei dettagli, potremmo parlare». Sempre che non lo facciano prima i sistemi di lancio russi.