È tristemente ricca di insegnamenti la guerra in Ucraina, camaleontica e plurifase come ogni conflitto. Anche la Prima e la Seconda guerra mondiale alternarono movimento e stasi. Si sono sprecati i paragoni fra quella attuale e la Grande Guerra, che sul fronte francese si combatté su oltre mille chilometri di fronte, come fra il nord e il sud dell’Ucraina di oggi. E anche oggi c’è stato un 1917, sia per Kiev che per Mosca, in cui i due eserciti nemici sono parsi più volte poter prendere il sopravvento l’uno sull’altro. Ci si era illusi che avessimo a che fare con due forze capaci di manovre offensive blindo-meccanizzate dirompenti e di avanzate rapide come nel 1950 in Corea.
C’era stato un exploit ucraino a sud-ovest di Kharkiv e un “momento russo” a Popasna nel 2022, sempre in Ucraina. Poi è tornata a farsi norma la dura legge delle guerre industriali, di comandi spesso inadeguati, dei valli difensivi e della linea Surovikin: scrive lo storico militare Michel Goya che «quando falliscono i blitzkrieg, i conflitti convenzionali tendono a gelarsi e a prolungarsi», a farsi guerre di posizione, di logoramento, di morte, di razioni di cibo inadeguate, di raid a distanza e di perdite materiali. Il fronte non è immobile, perché gli eserciti apprendono dagli errori e si riorganizzano, ma ogni chilometro di avanzata è costoso in mezzi e uomini. Per l’intelligence statunitense, in due anni e mezzo, la Russia avrebbe lasciato sul campo di battaglia oltre 350mila soldati, fra morti e feriti, l’Ucraina più di 120-130mila. Anche i civili non sono stati risparmiati, vittime innocenti di ogni conflitto: 10mila e passa morti e circa 20mila feriti, con danni materiali a case e infrastrutture stimati in 157 miliardi di dollari dalla Kyiv School of Economics. Le fortificazioni campali e le linee minate, sorvolate costantemente da droni d’osservazione e d’attacco, hanno reso il campo di battaglia più trasparente e insidioso.
Alcuni vi hanno visto la fine del combattimento diretto fra corazzati. Come sembra lontana l’operazione Desert Storm (1991), contro l’Iraq invasore del Kuwait: guerre a diustanza dei media. In Ucraina, le sentinelle del cielo, simbiotiche con le artiglierie, i droni-kamikaze, i velivoli Fpv, le bombe plananti e i missili hanno reso ardua la concentrazione delle forze sul campo di battaglia e lo sfruttamento dei vantaggi tattici. In due anni e mezzo di combattimenti distruttivi, i russi non hanno conquistato che tre “megalopoli” di oltre 100mila abitanti: Mariupol, Lyssytchansk e Severodonetsk, cedendo agli ucraini la Kherson della battaglia metodica della prima controffensiva (2022), più fortunata della seconda. Oggi, i russi sono nuovamente all’offensiva, soprattutto nel Donbass: il ritmo delle loro conquiste è aumentato, passando da 5 chilometri quadrati al giorno a più di 10, complice il vantaggio numerico in fatto di forze e di fuoco, segno che l’economia di guerra va più veloce in Russia che in Occidente, alimentata anche dalle forniture di Paesi militarizzati come Corea del Nord, Iran e Bielorussia. È probabile tuttavia che ci si avvii verso un declino del potenziale dell’Orso, non compensato dalle nuove produzioni. Osservano molti analisti che i magazzini militari ereditati dalla Guerra fredda potrebbero svuotarsi nel 2026. Basteranno a rimpiazzare le perdite, stimate dal portale Oryx in oltre 3.100 carri armati e più di 4.100 blindo da combattimento? Per tamponare lo smacco nell’oblast di Kursk, invaso negli ultimi quattro giorni da un migliaio di soldati ucraini, lo Stato maggiore russo ha mandato pure carri degli anni 1960-’70, rivitalizzati da un’industria che fa il possibile per stare al passo con le perdite al fronte.
Possono essere molteplici e controversi gli obiettivi ucraini a Kursk, ma il capo dell’intelligence militare di Kiev, Kyrilo Byudanov, è fiducioso (sebbene per altri motivi). Ritiene che l’offensiva russa, partita a maggio, si concluderà fra un mese e mezzo massimo due. Un bilancio sommario è però possibile: l’Armata Rossa è avanzata verso Pokrovsk, Toretsk, Chasiv Yar e altri centri. Ha guadagnato terreno quasi ovunque, avendo il pallino di un’iniziativa che le ha fruttato 816 chilometri di superficie, quasi un exploit visti i chiari di luna di questa guerra. Mosca sta preparando il terreno per assaltare il quadrilatero fortificato del Donbass che ancora le sfugge, dopo aver scippato a Kiev il 18% del territorio nazionale. Ma il suo futuro è incerto, come per l’Ucraina: la guerra finirà verosimilmente al tavolo negoziale o con un armistizio, senza soluzioni militari sul campo, a meno che uno dei due avversari non innovi drasticamente.