giovedì 2 gennaio 2020
Il Parlamento di Ankara ha approvato la decisione, preannunciata da Erdogan, di intervenire a favore di al-Sarraj contro il generale Haftar, uomo forte di Bengasi
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan

Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan - Reuters

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La Turchia approva l’invio di truppe in Libia e, in pratica, lancia un ultimatum a tutta la comunità internazionale, senza però dire quale sia la scadenza. Il Parlamento di Ankara, convocato in seduta straordinaria, ha approvato la mozione con 325 voti a favore e 184 contrari. Il testo è stato presentato lunedì dall’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, fondato dall’attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan e che guida il Paese dal 2002. L’esito della votazione era scontato e, per quanto la situazione diventi sempre più delicata con il passare delle ore, c’è un particolare importante che manca: quando queste truppe partiranno.

Questo poterebbe far pensare che la mossa di Ankara sia un avvertimento alla comunità internazionale, ma che ci sia ancora margine di manovra. Tutto dipenderà da quanti risultati Erdogan riuscirà a portare casa in termini di presenza sul territorio, contratti commerciali, sfruttamento delle risorse petrolifere e ricostruzione del Paese. Lo stesso vicepresidente turco, Fuat Oktay, due giorni fa, aveva detto che la Turchia non avrebbe inviato truppe, nel caso il generale Hatfar, l’uomo forte della Cirenaica avesse interrotto l’avanzata verso Tripoli. A sentire gli esperti, difficilmente la Turchia deciderà di mobilitare contingenti armati nel breve termine, preferendo fornire consiglieri e materiale bellico.

A Bengasi, però, non sembrano disposti a dare seguito alle richieste della Mezzaluna. Il quotidiano Al-Arabiya ha riportato alcune dichiarazioni di Khaled al-Mahjoub, ufficiale dell’esercito di Haftar, secondo il quale sono pronte misure militari di precauzione per un eventuale scontro con i turchi. Ieri in serata, le forze della Cirenaica hanno annunciato l’abbattimento di un drone turco.

Nella comunità internazionale la condanna è univoca. Il primo a commentare è stato l’Egitto. Il Cairo ha parlato di «rischio per la stabilità della regione mediterranea», con il presidente al-Sisi che ha convocato il consiglio di sicurezza nazionale per una «pronta risposta». La Lega Araba ha «condannato con fermezza le decisioni di Ankara ribadendo il proprio sostegno alla soluzione politica. Anche Bruxelles ha ripetuto come «non esista soluzione militare al conflitto libico».

Per l’Italia, il viceministro agli Esteri, Marina Sereni, ha evidenziato l’importanza dell’iniziativa diplomatica del prossimo 7 gennaio, nata su iniziativa di Roma e che vedrà impegnato l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, insieme con il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e i suoi omologhi europei di Francia, Gran Bretagna e Germania.

Il Parlamento turco ad Ankara

Il Parlamento turco ad Ankara - Reuters

Ma l’approssimarsi della data non serve a placare le preoccupazioni all’interno della coalizione di governo, con la deputata Pd, Lia Quartapelle, il membro del Copasir, Enrico Borghi e il capogruppo Pd alla Camera, Graziano Del Rio, che hanno chiesto a Di Maio di riferire all’aula dopo la missione. Gennaro Migliore, capogruppo di Italia Viva, parla esplicitamente di azione provocatoria da parte di Erdogan, mentre Osvaldo Napoli, di Forza Italia di «catastrofe diplomatica».

Forti anche le parole del Segretario della Lega, Matteo Salvini, che ha definito l’intervento armato «inaccettabile» e accusato la Turchia di «disinteresse degli equilibri e dei rapporti delle istituzioni Onu, atlantiche ed europee». Fratelli d’Italia, infine, prevede una «disfatta per l’Italia» chiedendo la presenza di Di Maio in aula, come la Lega.

Intanto, Ankara fa il suo gioco, determinata a portare avanti la partita fino in fondo e a ridefinire gli assetti non solo della Libia, ma del Mediterraneo orientale e fare valere quelli che giudica i suoi interessi nazionali, nonostante le leggi internazionali dicano altro. Erdogan ha parlato a lungo al telefono con il presidente americano Donald Trump, che ha avvertito il presidente turco contro ogni «interferenza esterna».

Ieri ad Atene hanno firmato l’accordo intergovernativo fra Cipro, Grecia e Israele per la costruzione del gasdotto Eastmed con l’appoggio della Francia, proprio nelle acque interessante dall’accordo che Ankara ha firmato con Tripoli e che porta una “determinazione” delle acque territoriali molto diversa da quella sancita dai trattati internazionali.

C’è poi la lotta per l’influenza nella regione, con Erdogan, legato ai Fratelli musulmani, che ambisce a ergersi come leader del mondo sunnita. Ma il reis, in questo suo piano, si trova contro l’Egitto e l’Arabia Saudita. E rischia uno stop anche da Mosca, il suo principale alleato, con il quale però, su Siria e Libia le agende confliggono.

Ansa

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