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Migliaia di soldati dislocati, nomi delle strade che cambiano, persino le prime mappe geografiche in vendita che mostrano le quattro regioni, nei fatti ancora contese, già parte della Russia. Il Cremlino ce la sta mettendo tutta per fare capire, anche al Paese stesso, che il Donbass è ormai parte della Federazione. Una russificazione che va dalla presenza fisica, alla pressione culturale, passando per i simboli.
A Mariupol, ancora sotto il controllo di Mosca e che gli ucraini considerano “la città martire” per eccellenza, il contingente russo è aumentato e adesso, fra il centro abitato e la regione, ci sono circa 30mila soldati russi. Una presenza importante, volta non solo a presidiare un territorio che per Mosca è vitale, in quanto garantisce la continuità territoriale con la Crimea, ma che serve anche a ripopolare la zona occupata in modo tale che la componente etnicamente russa e russofona diventi sempre più preponderante. Un’operazione di ingegneria demografica, già usata proprio in Unione Sovietica a partire dal 1944, quando Josif Stalin ordinò la deportazione massiccia dei Tatari di Crimea verso le terre dell’Asia Centrale, soprattutto il Kazakhstan, favorendo, al contrario, l’afflusso nella penisola di persone etnicamente russe.
Cambiano anche i nomi delle strade. Ne sanno qualcosa a Melitopol, che dista circa 190 chilometri da Mariupol e dove sono stati cambiati i nomi di ben 86 vie. La motivazione ufficiale è che l’operazione si inquadra con l’opera di denazificazione dell’Ucraina.
Fra i nominativi epurati, c’è il noto del poeta Taras Shevchenko, che tanta parte ha avuto nella valorizzazione della lingua locale e nella creazione di una identità nazionale. I nuovi toponimi sono dedicati a personaggi della storia sovietica, spesso forieri di cupi ricordi. Fra questi, c’è niente meno che Felix Dzerzhinsky, crudele primo fondatore e direttore della Ceka, la polizia segreta sovietica, oltre all’immancabile Lenin.
Le persone che vivono in queste strade, sono state costrette a presentarsi negli uffici amministrativi per fare cambiare i loro documenti. Melitopol è la città ucraina ad aver subito questi cambiamenti topografici con maggiore intensità perché, nel 2016, il suo sindaco aveva avviato un’opera di de-comunistizzazione che partiva dallo stesso principio. Una mossa che, evidentemente, è stata notata a Mosca e che non è piaciuta.
Ma sembra proprio che il presidente Putin sia costretto a convincere anche i propri connazionali del fatto che il Paese è cambiato. Nella capitale sono iniziate a circolare mappe che mostrano come facenti parte della Federazione Russa anche i territori annessi lo scorso settembre ma che, nei fatti, oltre a non essere riconosciuti dalla comunità internazionale, sono in parte ancora sotto il controllo degli ucraini.
La Duma, per fare abituare alle annessioni l’opinione pubblica, voterà anche una legge che condanna a 15 giorni di carcere o a una multa da 14mila dollari chi si permette di “mettere in dubbio l’unità territoriale russa”. Sarà dunque vietato dire che, per tutto il resto del mondo, le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia siano ancora Ucraina.