Se l’micidio dei feti, con lo scopo di praticare una selezione sessuale, resta in India una piaga che ha pochi emuli e tutti asiatici, meno nota è la strage delle bambine nei primi anni di vita. Ancora una volta sono chiamate in causa la povertà e la mancanza di possibilità, ma anche il retaggio socio-culturale e la volontà delle famiglie di non «investire » risorse su figlie ritenute non solo un peso per la necessità di garantire loro una dote ma ancor più poco produttive in un contesto in cui, da adulte, sarà per loro più difficile accedere a impieghi ben retribuiti.
Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista medica britannica The Lancet segnala che nell’ultimo decennio sono state 239mila di media all’anno oltre le previsioni ufficiali le bambine al di sotto dei cinque anni d’età che sono decedute per la mancanza di cure, per denutrizione o per maltrattamenti riferibili alla discriminazione di genere. Un fenomeno non solo pesante nei numeri ma anche diffuso geograficamente, dato che per lo studio – dovuto anzitutto alla ricercatrice indiana Nandita Saikia dell’International Institute for Applied Systems Analysis (Iiasa) in Austria – interessa 29 Stati e Territori sui 35 in cui è divisa amministrativamente l’immensa India.
Come per altre casistiche, ad esempio quella delle aggressioni sessuali contro donne dalit che sono ormai cronaca quotidiana, emergono gli Stati settentrionali di Uttar Pradesh e Bihar. Il primo, il più popoloso con i suoi 210 milioni di abitanti e vaste aree di povertà e tensioni intereligiose e sociali. Il secondo, ampio “magazzino” migratorio che ancora manifesta arretratezza diffusa e discriminazioni. Una estensione comunque “a macchia di leopardo” nel Paese, dove peraltro sono interessati con incidenza diversa circa il 90 per cento dei 640 distretti, ma maggiormente diffuso in Stati del Nord, che registrano i due terzi dei casi nazionali, con addirittura aree come il Rajasthan occidentale e il Bihar settentrionale dove questa tipologia di morti raggiunge e supera il 30 per cento dei decessi complessivi per le bambine nei primi cinque anni di vita.
Una situazione aberrante, che chiama direttamente in causa anche le politiche governative e le tutele legali verso i più deboli, sovente presenti ma spesso ignorate o sottostimate. Non a caso, i responsabili della ricerca sottolineano che senza queste morti «in eccesso» di innocenti, l’India avrebbe potuto già raggiungere l’Obiettivo per lo sviluppo del millennio di abbattere la mortalità infantile a 42 decessi ogni 1.000 nascite.
«Le stime regionali sulle morti in eccesso delle ragazze mostra che ogni intervento riguardo alla disponibilità di cibo e assistenza medica dovrebbe privilegiare anzitutto Bihar e Uttar Pradesh – ricorda Saikia –. Perché qui persistono povertà, basso tasso di sviluppo sociale e istituzioni patriarcali e gli investimenti sulle giovani sono limitati». Da qui la sollecitazione del rapporto a «affrontare direttamente la questione della disciminazione sessuale oltre a incoraggiare uno sviluppo socio-economico che benefici le donne indiane».