Preoccupa la diffusione del Covid-19 in Libia, aumentata nelle ultime ventiquattr’ore di ben 658 casi. Sebbene i numeri ufficiali siano ancora contenuti (in tutto, 14.624 i contagi, 242 i morti secondo il Centro nazionale libico per il controllo delle malattie, ndr), l’ultimo rapporto comunicato dall’Organizzazione mondiale della salute, Oms, fotografa uno scenario in rapido peggioramento: nelle ultime due settimane, il numero di casi confermati «è più che raddoppiato»; inoltre, «data la grave carenza di test e della capacità dei laboratori, è probabile che il numero reale sia molto più alto», avvertono gli esperti dell’agenzia Onu. Il contagio corre, ormai, anche in Cirenaica: la direzione dell’ospedale di Bengasi lancia l’allarme per la mancanza di posti letto nelle strutture ospedaliere.
Ma ad inquietare è soprattutto il clima sociale in cui il virus si muove. Spiega Elizabeth Hoff, rappresentante dell’Organizzazione mondiale della salute, in Libia: «La ricerca dei contatti rimane difficile. Lo stigma associato al Covid-19 è così grande che le persone infette sono riluttanti a farsi avanti per essere curate e non sono disposte a rivelare i nomi di altri con cui sono stati in stretto contatto. Siamo in un circolo vizioso. Il numero sempre maggiore di pazienti infetti sta mettendo a dura prova il sistema sanitario, già incapace di far fronte ai normali carichi di lavoro». L’andamento “comunitario” del virus fa temere il peggio: in Libia, dopo nove anni di conflitto civile, vi sono almeno 300mila sfollati per gli scontri e un milione di persone bisognose di assistenza umanitaria. Intanto, la tensione, sul campo e nei palazzi del potere di Tripoli e Bengasi, è alle stelle. L’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal generale Khalifa Haftar, continua a respingere l’accusa, mossa dalle forze fedeli al governo di accordo nazionale libico (Gna), di aver violato il cessate il fuoco a Ovest di Sirte. L’attacco, con missili Grad, è stato sferrato a una settimana dall’entrata in vigore del cessate il fuoco dichiarato dal presidente del Gna, Fayez al-Sarraj, e quello del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh. La tregua ha segnato l’apertura di un tavolo negoziale, con tappe predefinite. L’Unione Europea sta valutando l’introduzione di sanzioni contro chi infrangerà l’armistizio.
Ma anche in seno al Gna di Tripoli si segnalano frizioni: da venerdì scorso il ministro degli Interni è sospeso e sottoposto a indagine amministrativa per divergenze con Sarraj. E mentre il ginepraio libico, a tutti gli effetti “sirianizzato” dalla presenza di ingombranti padrini stranieri con i piedi sul campo, si avvita su se stesso, l’emergenza sanitaria non risparmia gli altri Paesi nordafricani. In Egitto, dove l’aumento dei casi di contagio è in risalita (la soglia dei 200 nuovi casi al giorno è stata superata, dopo due mesi di “calma piatta”), il premier Mustafa Madbouly ha messo in guardia dal rischio di una «seconda ondata».
Complessivamente, il contagio ha interessato quasi 99mila persone, mentre il numero delle vittime ha oltrepassato quota 5.300. Da ieri, per egiziani e non, in ingresso nel Paese, è obbligatorio presentare i risultati negativi di un tampone effettuato al massimo 72 ore prima. Così anche in Tunisia già dal 26 agosto, dove si registra una ripresa della diffusione del virus su base locale (poco più di 3.800 i casi complessivi). In Algeria, i casi ufficiali da febbraio a oggi sono 43mila: le autorità lodano la cittadinanza, che sta mostrando «senso di responsabilità » nelle piazze e nelle moschee, riaperte, ma limita drasticamente l’informazione non governativa sull’epidemia. Ma è il Marocco a destare le maggiori preoccupazioni, con un incremento giornaliero di oltre 1.300 casi. Gli organi di stampa descrivono gli ospedali nazionali come «sopraffatti», quello di Marrakech con i pazienti sdraiati per terra nei corridoi, il personale in lotta contro la stanchezza. Ora il regno, svuotato di turisti da mesi e punteggiato di ospedali da campo a supporto di quelli ufficiali, si prepara alla maggiore crisi economica mai sperimentata.