mercoledì 11 ottobre 2023
Genitori, figli, fratelli hanno scoperto del rapimento dei propri cari dai social network o attraverso drammatiche telefonate: «Non sappiamo dove si trovano, li hanno abbandonati»
Carmela Dan assieme al genero e ai suoi tre nipoti: sono stati tutti rapiti dal kibbutz in cui vivevano

Carmela Dan assieme al genero e ai suoi tre nipoti: sono stati tutti rapiti dal kibbutz in cui vivevano - Web

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I volti stralunati delle madri, dei padri, delle mogli, dei fratelli. C’è chi tiene in mano una foto, chi stringe una maglietta. Gli occhi puntati allo schermo dello smartphone, dall’alba maledetta del 7 ottobre: è lì, che in queste ore, si cercano le prove di esistenza in vita dei propri cari. E scoprirli, invece che morti da qualche parte, ostaggi in mano ai miliziani di Hamas è l’orrore anche peggiore con cui stanno facendo i conti centinaia di famiglie israeliane e non. Sulle cifre non ci sono ancora certezze: i terroristi parlano di 130 prigionieri, la loro vita appesa al filo del ricatto, «ne giustizieremo pubblicamente uno per ogni bombardamento israeliano». Le autorità ebraiche, invece, non riportano cifre ufficiali: «Abbiamo le coordinate di tutti i prigionieri» prova a rassicurare l’esercito, ma per molte famiglie non basta. «Abbiamo scoperto dai social che i nostri cari sono stati portati via, sono stati abbandonati» raccontano in lacrime davanti alle telecamere. È online che sono circolati i video terribili dei ratti e delle violenze: le gambe e i capelli della giovane e bellissima Shani Louk, di origini tedesche, sono state riconosciute dagli amici, poi dai genitori; il volto di Noa Argamani, trascinata via dal rave nel deserto col suo fidanzato Avinatan Or, è saltato agli occhi del fratello di quest’ultimo. Ed è alla rete che ci si appiglia con appelli e dediche per tener viva la speranza: #bringbackourfamily, riportateli a casa.

Vivian, l’attivista per la pace tra israeliani e palestinesi

L’attivista canadese-israeliana Vivian Silver, 74 anni, ha dedicato la sua vita ai diritti dei palestinesi. È la leader di Alleanza per la pace in Medio Oriente, un network formato da 170 associazioni pacifiste di cui due guidate da donne: Women Wage peace e Women of the Sun. Vivian sarebbe stata prelevata a forza dai terroristi dalla sua casa nel kibbutz Be’eri, al confine con Gaza. A sua sorella al telefono diceva che sentiva i militanti di Hamas fuori della sua casa, poi si è nascosta in un armadio e da lì ha mandato messaggi ad amici. «Qui c’è il caos – ha digitato alle 7.54 di mattina –, sento spari e urla». Il figlio Yonatan Zeigen, che vive in Canada, non ha confermato il rapimento della madre: la sua casa infatti ieri non era stata ancora raggiunta dai soldati israeliani . Due giorni prima dell’attacco, il 5 ottobre, l’Alleanza per la pace aveva organizzato un raduno a Gerusalemme e in Cisgiordania, a cui avevano partecipato 1.500 donne israeliane e palestinesi. Vivian negli ultimi anni aveva aiutato molti malati di cancro della Striscia di Gaza a oltrepassare il confine e a curarsi negli ospedali di Gerusalemme.

L'attivista Vivian a una manifestazione

L'attivista Vivian a una manifestazione - Web

Kim, sparita al rave «Mamma, cosa devo fare?»

È un fiume in piena di lacrime e di rabbia la mamma di Kim, Jennifer Damti: «Non riesco a dormire, non riesco nemmeno a respirare: mi chiedo continuamente dov’è mia figlia, se sta soffrendo, se è ancora viva. Ai nostri figli, noi, non abbiamo insegnato a odiare...». Il dramma di questa famiglia si snoda tra Dublino e il deserto del Negev, dove Kim Damti, 22 anni, si trovava insieme ai suoi amici per una serata di festa e di divertimento al rave organizzato vicino al Kibbutz Re’im. Quello che in pochi istanti s’è trasformato in un Bataclan. Quando i terroristi sono arrivati sui van armati fino ai denti, sparando prima in aria e poi sui ragazzi in fuga, Kim ha telefonato a Jennifer: «Mamma, che cosa devo fare?». La donna s’è paralizzata, il fratello di Kim ha preso in mano la cornetta: «Nasconditi, trova subito un rifugio!». A quel punto è caduta la linea, «l’ultima volta che l’abbiamo sentita». La famiglia sta cercando la ragazza in tutti gli ospedali, in mano la sua spazzola per i capelli: «Potrebbe servire per il Dna...» sussurra il fratello.

Una foto di Kim Damti fornita dalla sua famiglia

Una foto di Kim Damti fornita dalla sua famiglia - Web

La nonna e i suoi nipoti L’orrore nel kibbutz

Nonna Carmela Dan, dei suoi 80 anni, ne ha vissuti 60 all’intero di un kibbutz a Nir Oz, nel sud d’Israele. E lì viveva per i suoi tre nipoti: Sahar, 16 anni, Noya, 13, e il piccolo Erez, di 12. Erano insieme, quando quel luogo di pace è diventato un inferno. Con loro anche il cognato, e padre di Sahar ed Erez, Ofer. I terroristi si sono annunciati con gli spari: nel kibbutz è scoppiato il panico, la famiglia s’è rifugiata subito nel bunker. A quel punto i guerriglieri hanno iniziato a lanciare granate contro la casa, per costringerli a uscire. A raccontare la loro storia alla Nbc è stata la cugina, Abbey Onn: «Siamo rimasti in contatto via WhatsApp, poi più niente». Fino a domenica, quando Erez è comparso in un video su Instagram da un attivista israeliano, che sul suo profilo sta raccogliendo storie e appelli sugli ostaggi. Ha le mani legate, trema, se lo portano via tra le urla.

Shiri e i suoi due bimbi Il video che commuove il mondo

Kfir, 9 mesi, e Ariel, 3 anni, sono tra gli ostaggi più giovani. Un video mostra il momento in cui vengono fatti prigionieri con la madre. L’israeliana Shiri Silberman-Bibas, 30 anni, spalanca gli occhi dal terrore e stringe al petto i suoi due bellissimi bambini dai capelli rossi. Anche i genitori di Shiri, Yossi e Margit Silberman, sono scomparsi: «Spero solo che siano vivi e che stiano insieme. E li voglio a casa, con me, così potrò abbracciarli di nuovo forte», ha detto in lacrime la nipote della coppia, Yifat Zeiler.

I genitori di Natthaporn Onkaew mostrano la sua foto

I genitori di Natthaporn Onkaew mostrano la sua foto - Web

Il giovane thailandese in Israele per lavorare

Il padre non era d’accordo che il suo Natthaporn andasse in Israele a lavorare, dalla Thailandia: ma poi il visto era arrivato e due anni fa il giovane ha raggiunto l’esercito di connazionali, diverse migliaia, che lavorano nello Stato ebraico. Natthaporn Onkaew, 24 anni, è impiegato come lavoratore agricolo in una fattoria. I genitori non hanno più notizie di lui dallo scorso sabato, lo hanno riconosciuto da una fotografie di ostaggi diffusa dai social media. «Nell’ultima telefonata mi ha raccontato che stava andando a giocare a calcio» spiega la madre, che vive in un villaggio della provincia Nakhon Phanom. Lo stipendio di Natthaporn, uno dei 30.000 thailandesi emigrati in Israele, è l’unico sostegno della famiglia e garantisce anche gli studi alla sorella di 12 anni.

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