L'incendio provocato nel porto yemenita di Hodeidah dagli attacchi israeliani - Ansa
Prima di andarsene, il cecchino che si appostava all’ultimo piano dell’edificio modernista ridotto dalla guerra civile a gigantesca gruviera, su una parete aveva scritto: «La verità: la mia anima è svanita in un istante». Le memorie di Beirut non sono solo nei libri. Più di trent’anni dopo, come altri anche il palazzo del tiratore che si faceva chiamare “Tarzan” ha la facciata ricoperta di squarci. Ma il fantasma della guerra si aggira tra le vie dello shopping per ricchi e nei suk di periferia. E vola a bassa quota. Sono i caccia israeliani che, a orari imprevedibili, attraversano i cieli del Libano superando la barriera del suono proprio sopra i centri abitati. Il “bang sonico” è monito e minaccia. A un’ora d’auto, sul confine con Israele, Hezbollah anche ieri ha lanciato dozzine di razzi per vendicare l’uccisione di un suo comandante, mentre l’aeronautica israeliana, con una squadriglia di F-35, sganciava bombe contro il porto yemenita di Hodeidah. Lo scalo era «utilizzato dagli Houthi per ricevere le armi trasferite dall’Iran», ha dichiarato l’esercito secondo cui i danni inferti «ridurranno le entrate degli Houthi».
Le esplosioni hanno travolto un’area di diverse centinaia di metri sollevando colonne di fuoco che in tarda serata ancora illuminavano la costa di una luce sinistra. E hanno causato – dice la milizia filo-Teheran – «morti e feriti». Il primo raid israeliano contro lo Yemen era stato annunciato e pianificato dopo l’attacco con un drone degli Houthi che ha ucciso un civile a Tel Aviv, ferendone altri tre. Lo riporta The Times of Israel, spiegando che «i ministri del gabinetto di sicurezza hanno approvato l’operazione in una riunione iniziata intorno alle 14.30» di ieri. Secondo la testata Usa Axios il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva preannunciato al segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin la risposta agli Houthi. «I funzionari militari israeliani e statunitensi hanno parlato più volte sabato in vista dell’attacco», ha aggiunto la fonte citata dal prestigioso sito di informazione.
Houthi nello Yemen ed Hezbollah in Libano continuano a essere una spina nel fianco di Israele. Già venerdì i combattenti filoiraniani di Beirut avevano confermato gli attacchi contro gli insediamenti israeliani di Abirim, Neve Ziv e Manot, nella Cisgiordania occupata. Una rappresaglia, aveva informato Hezbollah, come ritorsione per l’uccisione del comandante delle forze d’elite Radwan, operative nel sud del Libano. Ieri almeno 40 razzi sono stati nuovamente lanciati dal Sud del Libano. A Beirut i tamburi di guerra vengono ascoltati con fatalismo. La toponomastica della capitale racconta il conflitto di ieri, con i suoi ruderi bombardati in mezzo alle nuove costruzioni. E non rifiuta l’ipotesi di uno scontro del domani, che si tratti dell’immediato futuro con Israele o di qualche altro regolamento di conti tra fazioni interne. L’intervista concessa ad Avvenire dal presidente del Parlamento Nabih Berri ha continuato a tenere banco per tutto il giorno. Non solo per la rilevanza su telegiornali e quotidiani, ma per la reazione delle forze politiche tirate in ballo dal leader sciita, il quale accusa la gran parte dei partiti di non voler trovare un accordo preliminare sulle candidature alla presidenza della Repubblica, da sottoporre poi al voto dell’Assemblea parlamentare. Il capo del partito delle Forze Libanesi, Samir Geagea, ha reagito sfidando Berri. Lo ha invitato a «smettere di perdere tempo e a indire una sessione elettorale a turni successivi». Diverse fonti interne alle differenti anime del Parlamento hanno confermato che l’imprevista uscita del presidente Berri, da anni molto schivo con i giornalisti, ha comunque rimesso in movimento la politica libanese, incapace dal 2022 di trovare un accordo per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Nel colloquio, Berri aveva rimarcato il ruolo diplomatico dell’Italia per la progressiva stabilizzazione del Libano.
Ma ieri al termine del raid israeliani nello Yemen sono state fatte circolare notizie che mettono in discussione quella che è percepita come storica “terzietà italiana” nello scenario mediorientale. Alcuni canali sui social network hanno sostenuto che Roma fosse stata coinvolta nell’operazione israeliana fornendo agli F-35 di Tel Aviv il rifornimento in volo di carburante, con un aereo cisterna dell’Aeronautica italiana decollato dalla base di Gibuti, sulla riva opposta allo Yemen. Fonti del governo italiano contattate da Avvenire hanno smentito seccamente bollando la notizia come "fake news" confezionata ad arte. Alcuni video girati da terra mostrano dei jet avvicinarsi a un cargo, ma non è chiara l’attribuzione degli aerei.
L’incursione israeliana nello Yemen è anche un messaggio per l’Iran er per Hezbollah in Libano. «L’incendio che attualmente brucia a Hodeidah è visibile in tutto il Medio Oriente e il significato è chiaro», ha detto il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant. «Gli Houthi ci hanno attaccato più di 200 volte. La prima volta che hanno fatto del male ad un cittadino israeliano, noi – ha sottolineato – li abbiamo colpiti. E lo faremo ovunque sarà richiesto». «Combattiamo l’Iran e le sue metastasi. Ci difenderemo con qualunque mezzo», gli ha fatto eco il premier, Benjamin Netanyahu, che oggi ha confermato la partenza per gli Usa. Gli Houthi hanno minacciato altre azioni: «Non esiteremo a colpire obiettivi vitali in Israele». Stessi toni usati da Hezbollah: “Il passo compiuto dal nemico preannuncia una nuova e pericolosa fase di confronto in tutta la regione”. Poco dopo ordigni israeliani hanno colpito in Libano, stavolta più in profondità, portando la guerra a meno di 60 chilometri da Beirut.