Sud dell'Iraq ancora insanguinato, con le proteste contro il governo di Baghdad che non si placano. Almeno 50 dimostranti sono stati uccisi nell'ennesima repressione delle manifestazioni a Nasiriyah e Najaf, dopo che il consolato iraniano nella città santa all'islam sciita è stato incendiato dalla folla. E la protesta scuote il palazzo della politica: dopo il monito dell'ayatollah Ali Sistani, la massima autorità sciita in Iraq, il premier iracheno, Adel Abdel Mahdi ha annunciato che presenterà le proprie dimissioni al Parlamento. Lascia anche il governatore della regione di Dhi Qar, Adel Dakhili. L'ombra dell'Iran aleggia da sempre sulle proteste in corso nel Paese, le più violente dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, con la popolazione a maggioranza sciita del sud che si oppone non solo al governo centrale, ma anche all'influenza di Teheran, che accusa di sostenerlo per impedirne la caduta. L'Iran ha chiesto a Baghdad di agire con decisione contro i dimostranti, dopo l'incendio del consolato. I due Paesi hanno stretti, ma complicati, legami e l'Iran ha grande influenza sui leader militari e politici iracheni.
Nella tarda giornata di mercoledì, la folla ha dato alle fiamme il consolato al grido "Vittoria all'Iraq" e "Fuori l'Iran". In risposta, il premier Adel Abdel Mahdi ha ordinato all'esercito di schierarsi in varie province per "imporre la sicurezza e ripristinare l'ordine". Ma nel giro di poche ore, dopo che è stata diffusa la notizia della morte dei dimostranti, il premier ha rimosso un comandante, il generale Jamil Shummary. Era stato inviato a Nasiriyah, luogo di nascita di Mahdi, al centro delle proteste per settimane. La repressione è stata violentissima con 25 manifestanti uccisi e oltre 200 feriti dalle forze di sicurezza che hanno “sgomberato” i sit-in con armi e proiettili veri, secondo medici, fonti di sicurezza e Amnesty International. Shummary è stato accusato di esser responsabile del massacro dal governatore della provincia, Adel al-Dakhili, che ha chiesto la sua revoca. Il generale era già stato al comando della brutale repressione delle proteste a Bassora, nel 2018.
Il bilancio dei morti delle proteste in corso da inizio ottobre ha ormai superato le 400 vittime, con oltre 15mila feriti. Manca invece un bilancio ufficiale, perché le autorità non ne diffondono. Intanto, la provincia di Dhi Qar ha annunciato tre giorni di lutto nazionale per il massacro di Nassiriya, dove migliaia di persone hanno sfidato il coprifuoco e sfilato nella processione funebre per le vittime. "Resteremo sino a quando il regime cadrà e le nostre richieste saranno accontentate", urlava la folla. Dispersa dalle forze di sicurezza, si è radunata attorno alla principale stazione di polizia e le ha dato fuoco. Ha anche assediato la base dell'esercito, mentre membri armati delle tribù locali si dispiegavano sull'autostrada proveniente da Baghdad per impedire l'arrivo di rinforzi dell'esercito.
"Nasiriyah questa mattina sembrava una zona di guerra. Per l'ennesima volta le forze di sicurezza hanno agito con una violenza spaventosa contro manifestazioni per lo più pacifiche", ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche di Amnesty International sul Medio Oriente. "Questo bagno di sangue deve terminare. La comunità internazionale deve chiedere forte e chiaro all'Iraq di fermare la violenza delle forze di sicurezza e di avviare indagini imparziali ed esaurienti in grado di portare di fronte alla giustizia i responsabili di uccisioni illegali e di altre gravi violazioni dei diritti umani", ha aggiunto.
Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, si è detto "profondamente preoccupato per le notizie dell'uso di proiettili veri contro i manifestanti in Iraq, che ha portato ad un aumento del numero di morti e feriti". Il segretario generale delle Nazioni Unite ha ribadito il suo appello alle autorità irachene ad "usare la massima moderazione, proteggere la vita dei manifestanti, rispettare i diritti di libertà di espressione e assemblea e indagare rapidamente tutti gli atti di violenza".