A dipingere lo striscione di 36 metri, srotolato lungo la scalinata del Palazzo delle Esposizione, ci pensano gli artisti e gli architetti del Teatro Valle occupato. La protesta degli intellettuali contro i tagli alla cultura si salda con quella degli universitari e dei precari, che si affacciano a un futuro a tinte fosche, tra disoccupazione, lavoro nero, contratti a termine. Dopo la nottata movimentata in via Nazionale, si sono accampati sui gradini del palazzo neoclassico. «Yes, we camp», noi ci accampiamo. E da qui gli indignados italiani - «ma chiamateci
inc...ados» - non intendono muoversi fino alla manifestazione europea di domani. Quando nella Capitale arriveranno forse in centomila, ognuno a rappresentare sé stesso. Con tutto lo spontaneismo- e i rischi - di un movimento senza capi né organizzazione.Quando l’altra notte la polizia ha intimato lo sgombero, davanti palazzo Koch si sono distesi senza fare resistenza e li hanno dovuti spostare di peso. Ora qui ci sono una dozzina di tende, sacchi a pelo, un computer per aggiornare il web, qualcuno che spazza le cicche. Un artista dipinge un lungo drago orientale con la scritta «Global Change». «Draghi ribelli», si sono battezzati: ogni riferimento al governatore è puramente intenzionale, come il drago gonfiabile alla fermata del bus. Lo striscione viene appeso sulla facciata, sotto il manifesto della mostra sui «Realismi socialisti». Adesivi al vetriolo contro «UniDebit» e «Banca Intrusa».Nel pomeriggio un tentativo di corteo verso il ministero dell’Economia viene bloccato dalle forze dell’ordine: «Ma camminavamo sui marciapiedi – protestano – senza bloccare il traffico». A Santa Maria Maggiore intanto gli sfrattati delle liste di lotta per la casa ne approfittano per occupare la basilica. In via Nazionale ai passanti, che solidarizzano, gli "indignados" distribuiscono una «lettera aperta a Napolitano in risposta alla lettera segreta di Draghi a Trichet»: «Caro Presidente, in Italia non si parla che dei giovani», ma «è una generazione esclusa dai diritti che campa grazie al welfare familiare su cui si scarica il peso della crisi», che «non si risolve togliendo i diritti a chi li ha conquistati, ma riconoscendoli a chi non li ha». La crisi la paghi «chi l’ha prodotta: si tassino rendite finanziarie, transazioni, patrimoni». «Il problema non sono i 100 metri, ma la maratona», dice Antonio, 33 anni, siciliano, a Genova nel 2001: «Più che a domani, io penso a dopodomani. Solo se continuiamo a farci sentire abbiamo speranza. Qui tra poco la Cina si compra il debito italiano e ci privatizza la sanità. Io sono sfiduciato verso i partiti, ma non sono il solo: ho chiesto a una guardia giurata dov’era Montecitorio, mi ha risposto "mettici una bomba". Mi ha fatto effetto, a me che non ho mai tirato un sasso, sentirlo dire da uno in divisa». Stefano, 25 anni, è arrivato qui seguendo sul web il movimento americano
Occupy Wall Street. Sergio, un metro e 95, dice «io sono il più piccolo, qui»: ha 19 anni e un impegno come rappresentante in consiglio d’istituto: «A scuola si mobilitano solo quando si rompono le macchinette delle merende». Vincenzo, 31 anni, pizzettaro precario barese, racconta di essersi trasferito da Pescara a L’Aquila «in cerca di tranquillità: manco Fantozzi», dice ridendo. E a luglio 2010 alla manifestazione dei terremotati a Roma rimedia 11 punti per le manganellate. «Da ragazzo ero iscritto ai Ds – dice – ora sono anarchico e come pugliese non sopporto nemmeno Vendola». Tanti gli universitari dell’Onda: Francesco Raparelli è uno dei leader di Atenei in Rivolta, sempre in prima fila, per contestare il Papa alla Sapienza o le riforme della Gelmini: «Paghiamo con i tagli alla formazione debiti che non abbiamo contratto».