Ansa
Quattordici popolose città in quarantena, per complessivi 41 milioni di abitanti. Si estende l’epidemia in un’area a elevata densità di popolazione raccolta tra le anse dello Yangtze nella provincia centro-meridionale di Hubei e il governo cinese prende misure mai così rapide e drastiche, sollevando perplessità sulla legalità ma soprattutto sulla coerenza con il rispetto di diritti umani e libertà civili. Finora senza particolari resistenza, ma con un ampio interesse mediatico e online. Una situazione indubbiamente difficile, affrontata senza mezze misure, con mezzi discutibili ma ritenuti «necessari» davanti alle conseguenze potenziali di un contagio incontrollato. Una reazione che sembra richiamare altri tempi e altri luoghi ma, si potrebbe pensare restando nell’ambito cinese, anche a una situazione di tipo “imperiale”, con direttive imposte dall’alto senza possibilità di metterle in dubbio se non rischiando pesanti sanzioni. In qualche modo facendo cadere l’illusione di un Paese “normale” e che mostra proprio nell’insindacabilità del potere quel-l’affinità con altri regimi, a partire da quello nordcoreano.
Sicuramente preoccupa Pechino la perdita di immagine internazionale, quella di una superpotenza che rischia di essere messa in ginocchio dalle sue cattive abitudini alimentari, dalla precarietà dell’igiene pubblica e dalle carenze strutturali del suo sistema sanitario. Il Paese dei record, che propone costantemente i suoi progressi e le sue eccellenze ma che maschera attentamente le sue carenze e gli errori dei suoi governanti e amministratori, si rivela alla fine un gigante dai piedi d’argilla. Un sistema non in grado di garantire quegli standard sanitari e alimentari e quel rispetto per la natura propria e altrui che metta fine alla cattura e allevamento di rettili, volatili e quadrupedi di ogni possibile forma e qualità, spesso per millantare benessere, sovente per credenze senza alcuna sostanza scientifica, in molti casi responsabili di intossicazioni e epidemie a volte trasmissibili all’uomo.
Le ripercussioni economiche rischiano di essere pure pesanti, ancor più in un tempo di rallentamento dell’economia già alla soglia del 6 per cento annuo. Gli esperti prevedono che se l’epidemia non sarà sconfitta entro marzo, il primo trimestre vedrà un ulteriore arretramento con consumi e turismo i settori più colpiti. Molto dipenderà da come le autorità correranno ai ripari nelle prossime settimane, ma è difficile escludere provvedimenti di stimolo economico, incluso un taglio dei tassi. Va ricordato che il turismo vale il 2,1 per cento del Pil cinese e impiega 23 milioni di addetti.
Resta poi, ovviamente, l’emergenza sanitaria e dipenderà dall’evolvere della diffusione del virus se e come saranno richiesti ulteriori, drastici interventi contenitivi sul territorio e eventuali interventi dall’estero. Ancora una volta, e in questo caso più di altri, il governo cinese sembra mostrare anzitutto il timore per la stabilità politica. Il timore del presidente Xi Jinping dalla sua ascesa al potere nel 2012 di una implosione del sistema ha varie ragioni e molte cause potenziali. Un’emergenza sanitaria non era probabilmente tra queste e potrebbe spiegare l’eccezionalità dei provvedimenti a cui stiamo assistendo.