mercoledì 15 gennaio 2020
Marinone (Cesi): «Senza l’aiuto economico russo, il sostegno delle milizie orientali sarebbe già venuto meno Molto dipende dall’Europa»
Il maresciallo generale Khalifa Haftar, al centro, stringe la mano a Mosca al ministro della Difesa russo Sergeij Shoigu

Il maresciallo generale Khalifa Haftar, al centro, stringe la mano a Mosca al ministro della Difesa russo Sergeij Shoigu - Ansa

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L’accordo messo a punto da Turchia e Russia per il dilaniato scenario libico non ha avuto il placet del generale Khalifa Haftar. Un’ennesima prova di forza o piuttosto un segno di debolezza? «Haftar non è onnipotente, pensare così è stato un errore. È influente, certo, ma deve rendere conto ai propri sponsor: Egitto, Emirati Arabi Uniti, probabilmente anche Giordania. E internamente, in Cirenaica, vi sono anime anche molto diverse fra di loro di cui tenere conto quando il gioco si fa importante ed è necessario raggiungere un compromesso », risponde Lorenzo Marinone, responsabile del desk Nordafrica del Centro studi internazionali (Cesi). «Basti pensare al periodo in cui, nel 2018, il generale è sparito dalla circolazione per due settimane. Quando è stato confermato che si trovava in Francia per problemi di salute, in Cirenaica è scoppiato il finimondo per la successione. A dimostrazione che le tensioni sono sempre pronte ad esplodere».

Divisioni di cui gli sponsor russi non hanno tenuto conto, cantando troppo presto vittoria?

Non credo. Direi però che il sostegno di Mosca ad Haftar non è incondizionato. In principio è stato un appoggio coperto, una sponda soprattutto politica rafforzatasi in modo graduale. Poi, però, si è concretizzato attraverso un intervento poco dispendioso per la Russia, ma di grande importanza per Haftar: la zecca di Mosca stampa la moneta necessaria al generale per garantire il benessere in Cirenaica. Senza questo aiuto, il sostegno delle tribù orientali sarebbe venuto meno da tempo. Molte mal sopportano di dover mandare uomini a combattere. Accettano solo perché sono ben pagate.

L’appoggio sul terreno sembra altrettanto strategico.

La compagnia Wagner è in Cirenaica da anni, ma più recentemente è diventata indispensabile all’Esercito nazionale libico per avanzare verso Tripoli. Putin ha utilizzato tale leva per costringere Haftar ai negoziati: come dire, senza di noi a Tripoli non entri.

Che cosa c’è di indigesto – a quanto ci è dato sapere – in quell’accordo rifiutato?

Qualcosa di totalmente contrario alla narrazione dell’offensiva. Haftar ha giustificato la sua avanzata verso Ovest come azione di contrasto al terrorismo. Ma ora, da un giorno all’altro, dovrebbe firmare un’intesa proprio con quelli che ha indicato come capi terroristici.

Si dice che Haftar dovrà capitolare, è inevitabile. Ma è così?

Se i due poli negoziali vengono tenuti distinti, no. Se il processo di Berlino, indipendentemente da quanto deciso a Mosca, va avanti, allora non è indispensabile che Tripoli e Bengasi firmino un accordo fra di loro subito. E questo perché, in maniera inedita rispetto a precedenti conferenze sulla Libia, Berlino è stata pensata per ripristinare un equilibrio fra le esigenze dei supporti esterni alle parti libiche: Italia e Francia nella cornice europea, Turchia e Russia. Ma questo dipende dalla capacità dell’Unione Europea di darsi una posizione univoca forte, svincolando Berlino da Mosca.

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