domenica 24 agosto 2014
​Il prodigio della vita nell’esodo da un genocidio. Nata e già in fuga, come tanti cristiani del Medio Oriente, la piccola è simbolo di futuro per la comunità cristiana con il rito più antico al mondo.
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Bella è nata due giorni prima del 6 agosto, quando all’improvviso i peshmerga si ritirarono anche da Qaraqosh, la “capitale cristiana” nella Piana di Ninive.  Il prodigio della vita, anche nell’esodo da un genocidio. Nata e già in fuga, come il destino di tanti cristiani del Medio Oriente. A celebrare il battesimo di Bella, nella chiesa di San Giovanni degli Assiri, ad Ankawa, anche padre Majeed Attalla. La gioia di accogliere la vita non può, non riesce a cancellare il dramma della persecuzione. Due isolati più in là, nel giardino della chiesa di Mar Shimuni, (San Simone), i 1.500 sfollati di Qaraqosh: «Dormo sui marciapiedi anch’io, per restare assieme alla mia gente». Fiero, quasi aggressivo padre Majeed Attalla, 30 anni e studi di teologia all’Urbaniana di Roma. Un posto in albergo il patriarcato siriaco antiocheno glielo avrebbe trovato, ma andarsene sarebbe un tradimento. «Quelle tende sono un forno. Non si può restare così, a 50 gradi. Molti anziani si stanno disidratando, aumentano le malattie». Cibo e acqua non mancano, ma «non basta portare degli aiuti, serve una soluzione». Quale? La persecuzione degli uomini del Califfato non cessa di dispensare ogni giorno il suo orrore in una Qaraqosh semideserta: «Là sono rimasti 140 in tutto. Venerdì ci hanno raggiunto qui a Mar Shimuni in una quarantina. Ci hanno raccontato di Cristina, 3 anni rapita alla madre. Hanno preso anche Rita,30 anni». La rabbia di un ragazzo di 30 anni, ti rivolge la domanda più tremenda: «Come si fa a togliere alla madre una bimba di tre anni?» Quesiti che scavano l’anima e rendono ancora più insopportabile il quotidiano. E intanto da Qararqosh pure le notizie delle scorribande dei predoni. Dopo la caduta di Mosul, all’inizio di giugno, la prima fuga di massa: «Quando siamo rientrati era tutto a posto. Adesso invece stanno spogliando le nostre case. E gli uomini del Daish (Isis) a Qaraqosh non sono stranieri. Sono quelli dei villaggi vicini», ti dice abuna Majeed guardandoti negli occhi. Ritornare? Così è impossibile. «Solo con una protezione internazionale. Non possiamo sentirci sicuri sapendo che i nostri vicini sono quelli stessi che adesso rubano in casa nostra». Restare ad Ankawa? «In queste tendopoli senza una occupazione, senza una casa. Siamo delle persone umane, abbiamo una dignità. Restare così è come morire a poco a poco». Venerdì, in una riunione presieduta dal patriarca caldeo Louis Sako, dal patriarca siro cattolico Ignatius Joseph, da quello siro ortodosso Ignatius Aphrem, le organizzazioni umanitarie locali, in vista dell’inverno, hanno chiesto complessi residenziali decenti o prefabbricati. Per ora «nessuna risposta organica dal governo centrale. Non c’è ancora una nuova squadra dell’esecutivo ma l’emergenza di chi ha perso tutto non può aspettare i tempi della politica», fa sapere il vescovo ausiliare di Babilonia, Saad Sirop Hanna.  Giunge la notizia delle tre autobomba scoppiate a Kirkuk. Due nei pressi di un edificio in costruzione usato come postazione dai peshmerga, la terza in un mercato: almeno 20 le vittime, 120 i feriti. In serata, esplode una quarta autobomba vicino al Politecnico di Erbil, sulla strada in direzione di Kirkuk: 4 i feriti. È l’incubo di una nuova ondata di attacchi terroristici, anche nel Kurdistan finora piuttosto stabile. «Ho trent’anni, ho sempre vissuto in guerra», continua padre Majeed. Allora non resta che andarsene all’estero? «Nel caso sarei l’ultimo a farlo», risponde. Fuggire con quale prospettiva: «Stranieri, dovendo reinventarsi una vita. È molto difficile e doloroso». Dilaniati fra le incertezza dell’espatrio e la forza delle radici: «Questa è la nostra terra. Noi siamo la comunità cristiana con il rito più antico al mondo». Cristiani d’Iraq sospesi nel limbo dei senza terra e di chi, come ha affermato ieri il vescovo ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni, «vive sulla propria pelle la schiavitù religiosa». Arriva anche Haziem, il nonno di Bella. Si può iniziare il battesimo. «Nonno Hazien, dove sarà il futuro di Bella?» Sorride: «Solo Dio lo sa». 
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