venerdì 3 luglio 2020
Si tratta di un ragazzo di 24 anni. Fuorilegge anche lo slogan delle proteste. Fuggito l'attivista Nathan Law
Hong Kong, il pugno di ferro contro le proteste

Hong Kong, il pugno di ferro contro le proteste - Ansa

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Nuova accelerazione a Hong Kong. La polizia ha incriminato la prima persona in base alla nuova legge sulla sicurezza, approvata da Pechino e contestata dai manifestanti locali pro-democrazia. «Un 24enne è stato incriminato per aver incitato altri alla secessione e per attività terroristica», hanno fatto sapere le forze dell'ordine. Dopo l’approvazione della nuova legge sulla sicurezza anche lo slogan delle proteste di Hong Kong "Liberare Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi" è fuorilegge, ha fatto sapere l'amministrazione della città guidata da Carrie Lam. Secondo un portavoce, lo slogan «implica la separazione della regione amministrativa speciale di Hong Kong dalla Repubblica Popolare Cinese, l'alterazione del suo status legale o la sovversione del potere statale». Sovversione, secessione, terrorismo e collusione con forze straniere sono i quattro reati punibili con pene fino all'ergastolo in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong. «Il governo di Hong Kong chiede a tutti i cittadini di non sfidare la legge», conclude la nota.
Gli Stati Uniti che scelgono la via delle sanzioni. Londra che offre – sono parole dell’attivista Joshua Wong – «un’importante ciambella di salvataggio», vale a dire la cittadinanza. L’Australia che fa sapere di essere pronta a concedere visti. Dopo la svolta autoritaria di Pechino, lo scontro su Hong Kong deborda dalle strade dell’ex colonia britannica alle sedi diplomatiche. L’accelerazione imposta dalla Cina con la legge sulla sicurezza nazionale sembra, così, aver rotto equilibri (anche se fragili) che duravano da tempo.
La prima mossa arriva dagli Stati Uniti, con il Congresso che sfodera l’arma delle sanzioni: colpiranno i gruppi che «hanno minato l’autonomia della città e limitato le libertà promesse agli abitanti». Tra questi le unità di polizia che hanno attuato la repressione sui manifestanti, i funzionari del partito comunista cinese responsabili dell’imposizione della legge e le banche che intrattengono rapporti con loro. La speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha definito il voto unanime – poi seguito da quello del Senato – «una risposta necessaria e urgente alla codarda approvazione da parte del governo cinese della cosiddetta legge sulla sicurezza nazionale, che minaccia lo status “un Paese, due sistemi” promesso esattamente 23 anni fa». Pelosi, che ha bollato la legge sulla sicurezza come «un incredibile e brutale giro di vite», ha quindi aggiunto: «Tutti i popoli che amano la libertà devono condannare questa orrenda legge» imposta dalla Cina, mirata a «smantellare le libertà democratiche a Hong Kong». Ora la legge andrà sul tavolo del presidente Donald Trump.
Dura (e scomposta) la replica cinese. I politici Usa «nascondono intenzioni malvagie», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, e «la bella vista da guardare che reclamano se la possono tenere per loro», ha proseguito, facendo riferimento alla frase di Nancy Pelosi. Gli Stati Uniti, ha concluso Zhao, devono «interrompere l’avanzamento della legge, per non parlare della firma e dell’attuazione, altrimenti la Cina vi si opporrà risolutamente ed energicamente». Ma con la campagna presidenziale Usa alle porte è una speranza vana. Joe Biden, candidato democratico alla Casa Bianca, ha definito la legge cinese un colpo mortale alla libertà dell’ex colonia britannica.
Un nuovo fronte si è aperto anche con Londra. Anche qui non sono mancati i toni minacciosi. Pechino ha chiesto alla Gran Bretagna di non dare la residenza ai cittadini di Hong Kong, mettendo in guardia che, in caso contrario, ne dovrà «sopportare le conseguenze». La Cina «esprime forte condanna e si riserva il diritto di assumere contromisure», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian. Il premier Boris Johnson ha confermato, due giorni fa, il piano per dare a 3 milioni di cittadini dell’ ex colonia idonei al passaporto di britannici d’oltremare (Bno) la residenza nel Regno Unito. L’offerta è destinata ai cittadini di Hong Kong nati prima del 1997. Secondo Pechino, la mossa sarebbe, però, una violazione degli accordi tra i due Paesi. Londra, a sua volta, ha convocato l’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming per esprimere la propria contrarietà.
E mentre si è appreso che tra gli arrestati di due giorni fa c’è anche un ragazza di 15 anni, uno degli attivisti pro–democrazia più in vista di Hong Kong, Nathan Law, ha annunciato di essere fuggito all’estero. «Ho già lasciato Hong Kong e continuo il nostro lavoro di difesa dei diritti a livello internazionale», ha fatto sapere l’attivista democratico in un messaggio alla stampa in inglese.

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