Il presidente cinese Xi Jinping, in compagnia della moglie Peng Liyuan, dopo lo sbarco a Hong Kong (Ansa)
Basta leggere un editoriale apparso a gennaio sul People’s Daily per capire quanto siano poco tenere (e molto belligeranti) le intenzioni della Cina nei confronti Hong Kong e delle sue ambizioni indipendentiste: «La cosiddetta indipendenza di Taiwan e la cosiddetta indipendenza di Hong Kong hanno una cosa in comune: potrebbero distruggere il Paese e avere effetti catastrofici sulla popolazione cinese, sotto la bandiera della democrazia e della libertà». Parola dure, perentorie, urticanti che cozzano contro la retorica più morbida con cui il presidente cinese Xi Jinping ha inaugurato, in compagnia della moglie Peng Liyuan, oggi, la sua visita di tre giorni, con la quale il nuovo “Mao” cinese è venuto a celebrare i 20 anni della riconsegna della metropoli alla madrepatria. «Il governo centrale - ha detto Xi - appoggerà, come sempre, lo sviluppo di Hong Kong e il miglioramento della vita della sua popolazione». Il presidente cinese ha aggiunto di essere «felice» di compiere la sua prima visita alla città da quando occupa l'incarico (l'ultimo volta che la visitò fu nove anni fa ma non era presidente) e ha confidato di sperare che nella sua permanenza di tre giorni spera di suscitare «più fiducia nello sviluppo e costruzione di Hong Kong». Hong Kong «ha un posto nel mio cuore», ha aggiunto sulla pista di atterraggio dell'aeroporto Chek Lap Kok. Quindi il passaggio più delicato, il riferimento alla formula «un Paese, due sistemi», lo scrigno che custodisce l’unicità di Hong Kong e al tempo stesso - per la sua vaghezza – la inchioda alla sua vulnerabilità. Xi ha auspicato che essa si mantenga "stabile e per lungo tempo". Lungo tempo: già, ma per quanto? La vaghezza della formula è il grattacapo su cui si esercitano, ormai da tempo, analisti e attivisti. Pechino ha promesso che il sistema capitalistico di Hong Kong rimarrà invariato per «almeno 50 anni» fino al 2047. Non ha mai chiarito, però, quale siano le intenzioni cinesi per il dopo. A garantire la formula per trent'anni ancora, è la Basic Law promulgata il 4 aprile 1990 a Pechino: 160 articoli più annessi, che hanno fatto dell'ex colonia una Regione amministrativa speciale della Cina. Il Dragone, nei fatti, ha sempre lavorato per erodere il principio «un Paese due sistemi». Per un motivo semplice: esso costituisce un pericoloso precedente per le regioni che rivendicano una maggiore autonomia dal gigante cinese: dal Tibet allo Xinjiang, dalla Mongolia Interna a Macao e Taiwan.
Le proteste
Lo sbarco di Xi è stato anticipato dalle proteste (e dagli arresti). Tra i dimostranti finiti in manette, c'è anche Joshua Wong, il giovanissimo leader della Rivoluzione degli ombrelli - che per quasi 80 giorni occupò le strade di Hong Kong nell'autunno 2014, rivendicando una riforma elettorale sempre negata da Pechino - fermato durante la protesta davanti alla scultura che simboleggiava il passaggio la consegna di Hong Kong alla Cina. Massiccio il dispiegamento delle forze di sicurezza. Per le autorità della città, nulla deve turbare l’armonia durante la visita di Xi.
I solidi rapporti economici
I rapporti economici restano solidi. La Cina è la destinazione principale per le esportazioni di Hong Kong e rappresenta più della metà del commercio totale della città. Hong Kong è il secondo partner commerciale della Cina (dopo gli Stati Uniti) e rappresenta da sola più del 8% del commercio globale della Cina. Tuttavia il potere economico di Hong Kong è diminuito rispetto alla terraferma: dopo il passaggio nel 1997, il suo Pil valeva il 16 per cento di quello della Cina, nel 2014 il suo peso era sceso ad appena il 3 per cento. Ma le attrattive e i punti di forza della città non si sono di certo indeboliti. Il 70 per cento delle banche di tutto il mondo sono presenti (e fanno affari) in città. «Hong Kong è la fonte principale di investimenti diretti esteri (Ide) per la Cina (il 44,7 per cento del totale alla fine del 2015), spesso con capitali provenienti dalla stessa Cina. Le imprese estere usano Hong Kong come trampolino per investire in Cina, perché offre ciò che nessuna altra città cinese (e non) ha: protezione degli investitori, sistema giudiziario trasparente ed efficiente, certezza del diritto».