domenica 11 febbraio 2024
Ogni strada era chiusa: dalla parrocchia della Sacra Famiglia non ha raggiunto i soccorsi
Alcuni palestinesi cercano i propri cari fra i corpi senza identità accatastati a terra a Rafah

Alcuni palestinesi cercano i propri cari fra i corpi senza identità accatastati a terra a Rafah - Ansa

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Il suo nome non rientra nelle statistiche dei morti di guerra. Perché Hani Abu Aoud non è stato ucciso da un cecchino, e non è neanche stato travolto da un bombardamento. E nessuno si prenderà mai la responsabilità per quello che gli è successo. Nel pieno della guerra a Gaza, in mezzo a morte e distruzione, Hani Abu aveva ricevuto quello che per lui era insieme un messaggio di speranza e una responsabilità in più. La giovane moglie aveva partorito una bambina dopo il primo mese di conflitto. Come altri avevano trovato riparo nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza Nord. Un riparo quasi scontato per loro. Hani Abu collaborava infatti con la parrocchia, con le suore della scuola cattolica, e insomma era un punto di riferimento. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un cattolico molto attivo. Da tempo era tra gli animatori del progetto del Patriarcato Latino per la ricerca di posti di lavoro. Infaticabile, nonostante la salute messa sempre a rischio dalla necessità di dialisi. Hani Abu e la sua famiglia oramai ci convivevano senza darsi troppi pensieri.

Gli ospedali di Gaza lo avevano assistito e curato, e mai avevano mancato un appuntamento con il trattamento sanitario. Ma dopo i primi giorni di guerra, ambulatori e cliniche sono stati sfasciati dal fuoco incrociato e dai bombardamenti mirati. Niente ospedale, niente dialisi. È cominciato così il conto alla rovescia, tra la paura di morire sotto le bombe e quella di perdere coscienza e infine esalare l’ultimo respiro per mancanza di cure. Ma Hani Abu aveva moglie e figlia e qualcosa doveva fare. Si è messo in cammino verso sud, lungo i 30 chilometri più pericolosi del pianeta. Direzione Khan Yunis, dove almeno l’Ospedale Europeo funziona e chissà che non avrebbero potuto arrestare il tempo che scorre verso la fine. Ma la strada era sbarrata. Vuoi dalle esplosioni, vuoi dalle macerie, vuoi dagli ordigni inesplosi, dal tiro dei droni e dalle cannonate sparate dal mare. Impossibile raggiungere Khan Yunis, dove l’esercito israeliano chiedeva ai civili di spostarsi. Impensabile sognare di arrivare a Rafah, sul confine con l’Egitto, dove la Croce Rossa internazionale riesce ancora a lavorare. A quanto se ne sa, Hani Abu Aoud ha trovato aiuto in uno dei pochi ambulatori ancora aperti lungo il percorso. Ma le cure non potevano essere sufficienti. I macchinari per la dialisi non c’erano. E per farli funzionare serve elettricità costante. E anche quella a Gaza è stata usata come arma non convenzionale, per costringere i civili ad andarsene spinti dai bombardamenti e dai blackout.

«La situazione a Gaza è sempre più disperata. Trovare cibo e carburante continua a essere quasi impossibile nel nord, dove i prezzi esorbitanti rendono ai residenti la vita ancor più dura. Per esempio, 20 litri di gasolio costano 200 euro e forniscono energia ai generatori solo per due ore», ha raccontato anche ieri George Akroush, direttore dell’Ufficio sviluppo progetti del Patriarcato latino di Gerusalemme, ad Aiuto alla Chiesa che soffre. Dall’inizio del conflitto sono morti almeno 30 cristiani colpiti all’interno di aree gestite dalla comunità ecclesiale. Tra questi, le 17 vittime dell’attacco al complesso parrocchiale greco-ortodosso dell’ottobre 2023, e le due donne uccise dai cecchini israeliani nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia. Rassegnato, Hani Abu Aoud ha fatto l’unica cosa che gli sembrava avesse un senso: tornare a Gaza Nord, per rivedere la moglie e la bambina. E morire dopo un ultimo abbraccio. Ma in guerra la pietà è un miraggio, e Hani Abu non l’ha incontrata. L’esercito israeliano impedisce ai civili sfollati verso sud di tornare indietro. Molti sono stati uccisi dalle raffiche dei soldati. Non Hani Abu. Lui è morto per mancanza di cure. Da solo. Il suo nome non compare tra le vittime dirette del conflitto, perché secondo le logiche perverse delle armi, Hani Abu Aoud non è stato ucciso. Semplicemente, è morto di malasanità in tempo di guerra.

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