Sono già migliaia i palestinesi che si sono spostati dalle aree più orientali di Rafah dopo gli avvisi di evacuazione dell’esercito - Afp
Scene di gioia e spari in aria a Rafah, dopo il sì di Hamas alla proposta di una tregua. Nel giorno in cui l’esercito israeliano ordinava l’evacuazione di 100mila palestinesi dall’ultima città rimasta in piedi nella Striscia di Gaza, è arrivata la risposta positiva attesa da giorni. Da Doha il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha informato il premier del Qatar Mohammed bin Abdul Rahman al Thani e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel, mediatori assieme alla Cia, «dell’approvazione da parte del movimento della loro proposta sull’accordo di cessate il fuoco». Haniyeh ha informato anche l’Iran. Hamas accetta una prima tregua di 42 giorni, durante i quali si impegnerebbe a rilasciare una trentina di ostaggi vivi in cambio del rientro degli sfollati al Nord, del rilascio di un numero imprecisato di detenuti palestinesi e di garanzie per la ricostruzione. «La palla è ora nel campo di Israele» ha detto un esponente del gruppo.
Da parte sua, lo Stato ebraico si riserva di valutare i contenuti della risposta di Hamas prima di rilasciare dichiarazioni. Ma le prime reazioni sono fredde: si accusano gli egiziani di avere unilateralmente forzato i parametri a favore di Hamas. Un alto funzionario ha commentato: «Non è la bozza che abbiamo discusso» (quella in tre fasi di cui si era parlato nel weekend). Il ministro dell’Economia, Nir Barkat: «Dobbiamo entrare a Rafah: inutile aspettare». E il portavoce militare Daniel Hagari: «Esaminiamo ogni risposta molto seriamente ed esauriamo ogni possibilità sui negoziati e il ritorno degli ostaggi. Al tempo stesso continueremo a operare nella Striscia». In serata, il ministro del Gabinetto di guerra, Benny Gantz, ha confermato che «la proposta avanzata da Hamas non corrisponde al dialogo che ha avuto luogo con i mediatori e presenta lacune significative». Gantz ha poi aggiunto che «l'operazione a Rafah è parte integrante del nostro impegno e dei nostri sforzi per riavere i nostri ostaggi e cambiare la realtà della sicurezza nel sud». Nelle stesse ore, secondo rapporti palestinesi, ripresi da Ynet, «veicoli blindati dell'IDF hanno attraversato la recinzione di confine nell'area di Kerem Shalom e stanno avanzando nei quartieri a est della periferia di Rafah». Secondo le stesse fonti ci sono «spari di carri armati e bombardamenti di artiglieria di tanto in tanto nella zona». Inoltre, tre razzi sono stati lanciati dal nord della Striscia di Gaza verso la città meridionale di Sderot. Lo fa sapere l'IDF, spiegando che due razzi sono stati intercettati dall'Iron Dome, mentre il terzo ha colpito un'area aperta. La Jihad islamica palestinese ha rivendicato l'attacco.
Il leader di Hamas Ismail Haniyeh - Ansa
Per tutta la giornata si erano intensificate le pressioni per scongiurare l’offensiva su Rafah, gremita di 1,3 milioni di sfollati: l'esercito ha ordinato l'evacuazione di almeno 100mila persone. Il presidente americano Joe Biden aveva avuto una telefonata di mezz’ora con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ribadendo la «contrarietà» degli Usa all’operazione. Il direttore della Cia, William Burns, aveva incontrato lo stesso Netanyahu a Gerusalemme dopo aver passato la mattinata a mediare a Doha.
Il conflitto è a una svolta, a sette mesi esatti dal massacro di 1.200 israeliani da parte dei terroristi di Hamas. Ma sul terreno si contano ancora i morti. Nella notte tra domenica e lunedì si sono intensificati i raid che hanno colpito 11 edifici di Rafah, uccidendo almeno 26 persone tra cui 11 minori e otto donne. E a Rafah, prima delle scene di giubilo in serata, la Mezzaluna Rossa riferiva di «migliaia» di persone in fuga, molte a piedi o con carretti, altre in auto stracariche. Le aree «umanitarie» dove evacuare, indicate dall’esercito, sono quella costiera di al-Mawasi e la città distrutta di Khan Yunis. Per l’Onu l’ordine di evacuazione dei civili è «disumano».
«Hanno chiesto a centomila persone di andare verso la zona vicino al mare, ma si tratta di un’area già strapiena» ha detto all’Adnkronos il cooperante palestinese Sami Abu Omar. «Qui a Rafah – osserva – si vedono persone andare avanti e indietro, c’è molto traffico, la gente è come impazzita». Lui, come un milione di altri sfollati, aveva trovato rifugio a Rafah assieme alla famiglia dopo che a dicembre era stato costretto a lasciare la sua casa a Khan Yunis, poi distrutta. Ieri mattina ha visto i volantini lanciati dai droni che intimavano a chi si trovava a est di andarsene. Lo stesso messaggio è stato diffuso per Sms, via radio e social media. «Le famiglie fanno scorta di beni essenziali, in un giorno i prezzi sono saliti alle stelle», racconta. «Se le speranze di una tregua avevano portato a un calo e un sacco di farina era arrivato a costare 10 shekel, adesso ne costa 100. Lo stesso vale per il gasolio: per un litro ci vogliono 50 shekel, il giorno prima ne costava 20». Alla Borsa della miseria di Gaza, sarà oggi forse il prezzo del pane o del riso a indicare se fossero fondate o volatili quelle scene di gioia.