giovedì 11 febbraio 2021
Il loro numero è stimato in 250mila. Vittime di rapimenti e abusi sessuali e costretti a imbracciare le armi da guerriglie o reclutati da eserciti. Il fenomeno resta drammatico soprattutto in Africa
Un bambino imbraccia un Kalashnikov in Sud Sudan

Un bambino imbraccia un Kalashnikov in Sud Sudan - Ansa

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Ogni anno, il 12 febbraio ci si ricorda di loro. Nascosti alle cronache, ai media, alla gente. Tanti bambini non vanno a scuola e non giocano, ma sono costretti a combattere nelle guerre senza fine, rapiti da scuole e villaggi. Il 12 febbraio le Nazioni Unite li ricordano, denunciano il fenomeno, tentato di smuovere le coscienze. Nel 2019 – gli ultimi dati disponibili “consolidati” risalgono infatti a due anni fa – il loro numero era stimato in 250mila. Minori utilizzati, secondo il rapporto del Segretario generale dell'Onu, da decine fra guerriglie ed eserciti regolari in ogni parte del mondo. I Paesi più interessati sono stati: Afghanistan, Colombia, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Sudan, Sudan del Sud, Somalia, Siria, Yemen, Myanmar, Nigeria, Filippine.
La Somalia, secondo le Nazioni Unite, nel 2019 è fra i Paesi più coinvolti con 1.500 ragazzini, per lo più rapiti da al-Shabaab. Ma anche esercito e polizia, li hanno utilizzati in quasi 200 casi. Nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) oltre 2.500 minori sono stati reclutati dal 2008 e utilizzati fino al loro rilascio, nel 2019, da decine di guerriglie. L'aberrante fenomeno interessa anche il Sahel, nella Repubblica Centrafricana l'Onu ha accertato almeno 200 nuovi casi di minorenni utilizzati come soldati e altrettanti nel Mali. Il compito di questi piccoli non è “solo” di combattere, ma anche di svolgere altri ruoli:cuochi, facchini, messaggeri. Le ragazzine, invece, sono destinate da Boko Haram in Nigeria, ad attentati suicidi e sono costrette a fare le “schiave sessuali”. Le violenze sessuali, purtroppo, sono ampiamente usate, dalle guerriglie e dagli eserciti, nel Congo, Somalia, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan e Sud Sudan.
I minori trasformati in soldati sono sottoposti a violenze di ogni tipo: uccisioni, torture, mutiliazioni, violenze sessuali ed uso di droghe, somministrate per eliminare dolore e paura, gravidanze indesiderate e Aids. Del resto, i bambini, spiegava in passato Olara Otunnu, Rappresentante speciale del segretario generale Onu per i bambini nei conflitti armati «non sono ancora pienamente coscienti delle loro azioni:possono essere facilmente indottrinati e trasformati in spietate macchine belliche». I fanciulli, inoltre, non disertano, non chiedono stipendi e per loro l'esercito rappresenta l'unico modo per potersi nutrire. Le attività belliche, inoltre, privilegiano la distruzione di ospedali e scuole, calpestando le convenzioni internazionali, nell'adozione delle quali l'Italia ha svolto un ruolo significativo, in tal modo migliaia di persone si vedono negati diritti fondamentali. Nel solo 2019 l'Onu ha accertato, infatti, almeno mille attacchi contro scuole ed ospedali, con il raddoppio, rispetto al passato, di quelli colpiti dagli eserciti, soprattutto in Somalia.
Nel 2019, grazie all'Unicef, oltre 13.000 minori sono stati separati da eserciti e guerriglie, ma la mancanza di fondi mette a rischio una smobilitazione duratura e il loro reinserimento nella società, in Paesi poverissimi
È fondamentale punire questi crimini per rompere il muro dell'impunità. La Corte penale internazionale (Cpi) considera l'arruolamento di bambini al di sotto dei 15 anni come un crimine di guerra. lcuni signori della guerra del Congo sono stati condannati, come, Dominic Ongwen, uno dei capi del Lord's Resistance Army del fanatico Joseph Kony, che ha terrorizzato in Nord Uganda. Anche l'ex presidente del Sudan Omar el- Bashir è incriminato dalla Cpi per i reati commessi in Darfur.
È evidente che la pace resta il mezzo più potente, per eliminare tante sofferenze, ma è necessario che i Paesi occidentali aiutino questi Paesi ad uscire dai conflitti e dal sottosviluppo con politiche mirate, con un nuovo paradigma.

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