Rifugiati etiopi nell'area di confine con il Sudan - REUTERS/Mohamed Nureldin Abdallah
Scaduto l’ultimatum di 72 ore del premier etiope Abiy Ahmed ai leader del partito del Fronte di liberazione popolare del Tigrai (Tplf), è cominciata la terza fase dell’offensiva lanciata Addis Abeba che prevede la presa del capoluogo regionale Macallè. Il blackout informativo, che ha oscurato telefoni e web dal 4 di novembre, impedisce di verificare le notizie.
Ma la preoccupazione è tanta. Oggi la Sala Stampa vaticana ha fatto sapere che "il Santo Padre segue le notizie che giungono dall'Etiopia" e rivolge "un appello perché cessino le violenze, sia salvaguardata la vita, in particolare dei civili, e le popolazioni possano ritrovare la pace".
Secondo il governo di Addis Abeba, le forze di difesa nazionale etiopi hanno preso il controllo di luoghi strategici come la centrale eolica di Ashoda e ieri sera si trovavano a circa 20 chilometri dalla “capitale” Macallè, dove vivono 500.000 persone la cui sorte tiene in ansia il mondo. L’esercito federale etiope ha intenzione di entrare a Macallè per catturare i leader tigrini, ma l’offensiva potrebbe provocare vittime civili nonostante le garanzie fornite dal premier etiope Premio Nobel per la pace nel 2019. «In questa fase finale – ha twittato ieri il capo del governo di Addis Abeba – grande cura sarà messa per proteggere i civili innocenti, tutti gli sforzi saranno fatti per assicurarsi che la città non sia gravemente danneggiata».
Alcuni resoconti dell’Onu descrivono colonne di abitanti in fuga dalla città e si teme che, dando credito alle minacce del Tplf di scatenare la guerriglia, siano state distribuite armi alla popolazione e che questa venga usata anche come “scudo umano” da parte del governo tigrino o che l’esercito etiope colpisca senza distinzioni. Intanto una delegazione di alto livello dell’Unione Africana è impegnata a riattivare il difficile dialogo ad Addis Abeba.
Anche se il premier etiope ha dichiarato che non potranno parlare con i leader del Tplf perché il conflitto rimane una questione interna (i due governi si considerano illegali), i Paesi africani hanno chiesto al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocato ieri in riunione d’emergenza, più tempo per proseguire gli sforzi diplomatici. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è detto profondamente preoccupato per la situazione e per la sorte della popolazione e ha dichiarato di sostenere gli sforzi dell’Unione Africana. Cresce la preoccupazione per la situazione umanitaria della regione settentrionale dell’Etiopia. L’Onu ha affermato che le carenze sono diventate «molto critiche» perché i 6 milioni di abitanti restano isolati.
Più di 600.000 persone che dipendono dalle razioni alimentari mensili non le hanno ricevute questo mese e si stima che più di un milione di persone saranno sfollate e il cibo per quasi 100mila rifugiati dall’Eritrea sta per finire. Radio Assenna, emittente dell’opposizione eritrea che trasmette da Londra, riferisce di una situazione particolarmente critica nei campi profughi di Adi Harish e Mai Aini per i combattimenti nella zona che impedirebbero l’ingresso con acqua e viveri dell’Unhcr/Acnur e di Arra, l’agenzia per i rifugiati etiope.
Un soldato sorveglia le forniture di cibo per i rifugiati etiopi in fuga dalla guerra nel Tigrai, verso il campo di Fashaga, al confine tra Sudan e Etiopia - REUTERS/Mohamed Nureldin Abdallah
E hanno superato quota 40.000 i rifugiati etiopi fuggiti nel Sudan orientale, dove le organizzazioni umanitarie e le comunità locali lottano per nutrirli, curarli e offrirgli riparo. Quasi la metà dei rifugiati sono bambini sotto i 18 anni.