martedì 3 gennaio 2017
Dall’«opportunismo» nelle Primavere arabe fino al «voltafaccia» sulla Siria
Erdogan e la strada (chiusa) degli errori
COMMENTA E CONDIVIDI

Un Paese in guerra dentro e fuori. Ormai al centro di un’emergenza terroristica in parte inevitabile ma che è stato bravissimo ad alimentare. Tutto si può dire, ma non che la Turchia non si sia impegnata per fare andare ogni cosa nel verso sbagliato. Correva l’anno 2010, il Mediterraneo era interessato dal fenomeno delle Primavere arabe e l’allora presidente del Consiglio, Recep Tayyip Erdogan, dietro la spinta del suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, cavalcava i movimenti di protesta. Soprattutto quello egiziano, certo che, con la caduta del “faraone” Hosni Mubarak, Ankara avrebbe potuto ricoprire un ruolo di player mediorientale. Erano gli anni della crescita economica, della prosperità, dell’alleanza con Fethullah Gülen e, da fuori, nulla sembrava che potesse fermare “l’uomo nuovo” della politica turca.

Poi, però, la Mezzaluna ha deciso di scoperchiare il vaso di Pandora ed entrare a gamba tesa sulla “questione Siria”, compiendo una virata di 180 gradi sulla posizione tenuta fino a quel momento, quando il presidente Bashar al-Assad era un amico e un prezioso alleato. La Russia, l’Iran e la Cina gli avevano consigliato di starne fuori, ma Erdogan, spinto anche dall’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton, ha deciso di intervenire. Prima ha preso le distanze dal presidente siriano, fino a diventarne uno dei più acerrimi rivali e sostenitori della sua caduta. Poi, in un secondo momento, ha stretto un patto di non belligeranza, se non una vera e propria al- leanza con il Daesh in chiave anti-curda. Nel 2014, hanno iniziato a circolare le prime voci di infiltrazione del Califfato in Turchia.

Da qui a fare diventare la Mezzaluna uno dei bersagli preferiti del terrorismo di matrice curda e jihadista il passo è stato breve. A distanza di quasi tre anni, il presidente Erdogan si trova ad avere a che fare con una Turchia priva di credibilità internazionale, fiaccata da un’economia in stagnazione, esposta a un rischio terroristico costante e con un contrasto etnico, quello fra curdi e turchi, il quale rischia di sfociare in una guerra civile. La rinnovata alleanza con Mosca, dopo l’abbattimento del jet russo che sorvolava la Siria nel novembre 2015, ha determinato un cambiamento radicale dell’approccio turco al Califfato.

Le campagne della Mezzaluna oltre il confine hanno determinato da una parte l’indebolimento dei curdi del Pyd, ma dall’altra hanno coinvolto anche Daesh. Quest’ultimo, dunque, ha iniziato a vendicarsi. Se, fino a metà del 2016, gli attentati riconducibili al califfo al-Bagdadi colpivano soprattutto i curdi, da quando gli interessi di Daesh e Turchia hanno iniziato a confliggere, gli attacchi si sono concentrati sui turchi. E soprattutto sui turisti, con tutto il danno che questo ha arrecato all’economia nazionale. Ankara sa che non può lasciare l’asse con Putin, almeno per il momento.

Il capo del Cremlino è l’unico che crede ancora nella Mezzaluna, l’unico con il quale sia attivo un piano di investimenti sul lungo termine. Inoltre, Mosca ha come comune obiettivo la lotta al terrorismo, ora una priorità assoluta per Ankara. Nelle elezioni politiche del 2015, Erdogan ha riconquistato la maggioranza assoluta promettendo a tutti più sicurezza. Poi, però, a complicare le cose, c’è stato il repulisti seguito al fallito golpe del luglio 2016, dove Gülen da alleato è diventato il nemico numero uno. Il presidente, così, si trova ora nella condizione di non poter più mantenere quanto promesso agli elettori, anche per un motivo tecnico: a furia di epurazioni e spostamenti, le Forze Armate e i servizi di intelligence turchi non sono più quelli di una volta. Anche per questo la Mezzaluna è un luogo in cui è sempre più facile colpire per il terrorismo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: