E' il giorno dell’addio alle armi per le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc). Ma non è ancora il primo del dopoguerra. «Perché, fin quando non verrà firmato l’accordo definitivo, purtroppo, il conflitto non sarà finito», spiega Patricia Muñoz, politologa della prestigiosa Università Javeriana di Bogotà. Certo, ieri è stato siglato il patto su uno dei punti più controversi. Lo scoglio del “cessate il fuoco” e della “consegna delle armi” aveva infranto le speranze di arrivare all’attesa pace entro la data del 23 marzo scorso, come promesso dal governo e dalla guerriglia.
È per questo che si è data tanta enfasi a un’intesa intermedia? L’importanza simbolica del cessate il fuoco definitivo e bilaterale è enorme: i due ex nemici hanno scelto di far tacere le armi, per sempre. Anche se il tutto diventerà effettivo solo con l’accordo finale. Per arrivare a quest’ultimo ci vorrà ancora un po’ di tempo. La presenza del segretario Onu Ban Ki-moon e di numerosi leader esteri alla cerimonia dell’annuncio all’Avana conferma e sottolinea il sostegno della comunità internazionale al processo. La strategia è quella di rendere irreversibile la pace. Il presidente Juan Manuel Santos vuol rendere impossibile tornare indietro. Alla guerriglia delle Farc, ma anche alle componenti più recalcitranti all’interno dello stesso esecutivo colombiano. Si tratta, inoltre, di un modo per coinvolgere e mobilitare l’opinione pubbli-È ca colombiana, delusa dal mancato rispetto della scadenza del 23 marzo.
Se, come dice il presidente Santos, entro il 20 luglio si firmasse l’accordo definitivo, quali sfide dovrebbe affrontare la Colombia per rendere concreta la pace? La pace non è una firma su un documento. Va costruita nel concreto. A tal fine, le parti dovranno lavorare seriamente per la riconciliazione. Oltre mezzo secolo di guerra non si cancella di colpo: la Colombia è un Paese di sopravvissuti. Gli stessi negoziati, lunghi e faticosi, hanno lacerato l’opinione pubblica: una parte non crede alla fine del conflitto. Sarà fondamentale ricucire le ferite in modo da dare alla pace il sostegno collettivo indispensabile per uscire da un conflitto. Un punto piuttosto delicato sarà il reinserimento dei guerriglieri nella vita civile e politica. Il passaggio delle Farc da gruppo armato a movimento politico richiederà uno sforzo per tutti. Per mantenere gli impegni presi all’Avana, inoltre, il dopoguerra richiederà enormi risorse. Per realizzare investimenti sociali. E per garantire una presenza istituzionale e militare nelle troppe aree dimenticate, perché remote, del Paese. Un passo fondamentale per evitare che i nuovi paramilitari o le bande criminali approfittino del vuoto.
C’è il pericolo che rimpiazzino le Farc? Queste ultime non sono l’unico gruppo armato presente sul territorio. Le bande nate dopo lo scioglimento dei paramilitari – le cosiddette Bacrim – sono molto attive in una serie di business illegali. Il rischio nei loro confronti è duplice. Da una parte, potrebbero reclutare i quadri intermedi delle Farc, disoccupati dopo l’accordo definitivo, e ingrandirsi, alimentate dal solito carburante: la cocaina. Dall’altra, potrebbero attaccare i guerriglieri smobilitati, obbligandoli a riprendere le armi. Il che farebbe naufragare la pace. È già accaduto in passato con il massacro degli esponenti dell’Unión Patriótica negli anni Ottanta. Stavolta la Colombia non vuole né può permetterselo.