Il governatore della California Gavin Newsom - Ansa
I genitori hanno il diritto di essere informati dalla scuola su questioni decisive nella vita dei figli, oppure prevale il diritto alla privacy dei minori, che le autorità scolastiche hanno il dovere di tutelare? Tema che è di certo dirimente in ambito educativo, specie se al centro della questione c’è il cambio di sesso del proprio figlio, ma che si è appena aggiunto all’agenda politica per scalare la Casa Bianca. Ha appena fatto irruzione nel dibattito elettorale americano la firma apposta dal governatore democratico della California Gavin Newsom alla legge Ab 1955 che vieta alle scuole di informare i genitori sulle scelte in materia di genere dei propri figli senza il loro consenso. L’intento è di proteggere i ragazzi che temono conseguenze in famiglia dal proprio outing, ma il governatore ultraliberal californiano – il cui nome è nella rosa dei possibili candidati dem per la corsa alla Casa Bianca nel caso (sempre meno probabile visto il compattamento del partito dietro Kamala Harris) di Convention “aperta”, il 19 agosto – intende evidentemente marcare con una decisione che asseconda le istanze di associazioni per i diritti lgbt la distanza dai repubblicani su tutti i temi ad alto tasso etico.
Una lista che al primo posto riporta le mosse seguite da una parte e dall’altra alla sentenza della Corte Suprema sull’aborto (giugno 2022), delegato alla competenza degli Stati e non più diritto federale. Nella battaglia che da due anni vede fronteggiarsi leggi restrittive negli Stati a guida repubblicana e provvedimenti libertari in quelli democratici, la California ha assunto la guida di questi ultimi, schierandosi a favore di una più ampia disponibilità di servizi per interrompere la gravidanza in ogni momento e senza restrizioni. Ora la storia si ripete con le politiche gender delle scuole. Un tema sul quale, più che con l’aborto dove i fronti contrapposti sono sostanzialmente cristallizzati, si aggiunge però l’imprevedibile “fattore famiglie”.
La legge che fa piazza pulita delle “parental notification policies” scolastiche lancia infatti Newsom tra le star del partito in una campagna elettorale che non potrà ignorare le combattive associazioni per i diritti familiari e genitoriali che stanno assumendo un protagonismo crescente sulla scena americana, contestando leggi come quella californiana, ma anche impugnando provvedimenti e lanciando campagne serrate con l’obiettivo di fermare lo strapotere educativo e culturale di istituzioni pubbliche e multinazionali, major dell’intrattenimento e mass media che pretendono di imporre modelli divisivi. Chiunque ambisca allo Studio Ovale non può più ignorare la voce di questa rete di associazioni di genitori che rivendicano il loro primato educativo contro il dilagare di messaggi che vanno nella direzione opposta ai princìpi ai quali si ispirano. Ormai le loro campagne amplificate dall’uso dei social sono entrate nel dibattito pubblico degli States come libera voce “della base” imponendo a tutti i potentati politici e mediatici di non sottovalutarne l’impatto, anche sull’elettorato. La “legge Newsom” è un tipico campo di battaglia dove si gioca la scelta dei gruppi sociali di riferimento di ogni partito, cui dare ascolto e voce.
La questione nasce dai numerosi istituti scolastici californiani che nel tempo hanno scelto di informare le famiglie quando gli insegnanti hanno notizia dell’intenzione del minore di cambiare il sesso col quale vuole essere identificato. Le autorità dello Stato hanno impugnato le circolari delle scuole, finché non si è pensato di chiudere la questione con una legge di segno opposto, imponendo a tutti gli istituti di escludere i genitori da informazioni sensibili sui loro figli. Sapendo che molte famiglie non sarebbero state per niente d’accordo, la legge ha previsto anche una sorta di immunità per il personale scolastico che venisse accusato di avere infranto il patto educativo con i genitori. Non solo: lo Stato ha anche pensato a un piano di “rieducazione” di mamme e papà riottosi ad accettare i provvedimenti (e le scelte dei figli, pur essendone stati tenuti all’oscuro) prevedendo iniziative specifiche per loro. Tempo poche ore dall’annuncio di Newsom e già arrivano i ricorsi.
Contro la legge, che entrerà in vigore con il prossimo anno, il primo istituto a scendere in campo è stato il Chino Valley Unified School District, persuaso che l’Assembly Bill (Ab) viola i diritti costituzionali dei genitori ai sensi del 1° e del 14° emendamento. Per i democratici della West Coast ora è una questione di principio: «La legge – ha dichiarato la sentarice dem californiana Susan Talamantes Eggman – serve a garantire che le nostre scuole, dall’asilo alle superiori, rimangano zone sicure in cui i giovani possano affermare sé stessi». Pronta la replica di associazioni di famiglie come Defending Education, per la quale «le politiche di esclusione dei genitori sono immorali, pericolose e incostituzionali ». Elon Musk non ha perso occasione per far parlare di sé affermando che la legge «è la goccia che fa traboccare il vaso» e che ora intende abbandonare la California trasferendo la sua SpaceX in Texas (dove peraltro già da tempo ha spostato altre attività). Più credibilmente, i primi genitori che hanno querelato l’amministrazione Newsom argomentano che «se uno studente è vittima di bullismo o è coinvolto in un contrasto verbale o fisico lo scuola lo dirà ai genitori, e così se il figlio manifesta il desiderio di farsi del male o di uccidersi. La scuola quindi deve informare i genitori se uno studente ha chiesto di effettuare la transizione di genere». No, non è ideologia. E i candidati alla Casa Bianca farebbero bene a non sottovalutare la forza delle famiglie.