Un sacerdote durante il lockdown. Molti si sono ammalati e in Europa oltre 400 non ce l'hanno fatta - Ansa
È un’esperienza – tragica e straniante – di vulnerabilità. Che la Chiesa sta vivendo, con dolore, sulla propria carne. La tempesta-Covid ha smascherato la nostra fragilità, lasciando scoperte «quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità», ha detto, il 27 marzo, papa Francesco in una piazza San Pietro vuota e flagellata dalla pioggia. In questo tempo di smarrimento, di perdita di punti di riferimento, a farci da bussola sono i «tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita», «persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia», ha affermato il Pontefice in quello «straordinario» venerdì di preghiera.
Tra questi “testimoni della porta accanto” ci sono le centinaia e centinaia di sacerdoti e religiosi stroncati dal virus nello svolgimento ordinario del proprio ministero.
Almeno quattrocento in Europa, secondo lo studio elaborato dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) a partire da un questionario redatto da trentotto Chiese del Continente in vista dell’Assemblea Ccee. La Chiesa ha voluto fare il punto sulla propria reazione a tutto tondo alla pandemia in corso, analizzando le conseguenze religiose dell’emergenza, l’impatto sulla vita delle comunità cristiane e sul resto della società. In questo contesto, non poteva mancare la valutazione del tributo pagato dal clero in termini di vite umane. Un prezzo alto. E quella del Ccee è una stima per difetto.
Al conteggio mancano i dati di alcuni Paesi duramente colpiti dalla crisi sanitaria, come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania o il Portogallo. Dalla ricerca emergono, tuttavia, dettagli importanti.
A registrare il maggior numero di vittime fra il clero sono i Paesi Bassi: 181 – religiosi anziani –, seguiti dall’Italia – 121 – e dalla Spagna, settanta decessi solo nel mese di aprile. Altri dieci sacerdoti sono morti in Polonia, cinque in Belgio e altrettanti in Ucraina, quattro in Austria, tre in Irlanda, uno in Lituania.
«L’intera Chiesa universale sta vivendo un’esperienza di impotenza, caratteristica piuttosto dimenticata ai nostri tempi», afferma padre Pavel Ambros, gesuita e esperto dell’Università Palacky di Olumuc in Repubblica Ceca, chiamato a presentare la ricerca all’Assemblea. Eppure, in questo contesto di prova, «ciò che porta speranza è una sforzo senza precedenti di solidarietà per superare insieme, nella società e nella Chiesa, le conseguenze del Covid».
Un impatto che si profila pesante, anche in termini economici. Terreno in cui i vari organismi ecclesiali e i singoli credenti sono impegnati in prima linea. «L’unità dei cristiani in Europa contribuisce a sensibilizzarci alla situazione dei più poveri, emarginati, delle persone ala periferia, compresi richiedenti asilo e migranti». Uno dei fili rossi che cuce insieme i vari Stati europei è il rapporto di collaborazione tra Chiese e autorità nazionali per la gestione dell’emergenza. In questo senso, la chiusura degli edifici di culto durante il lockdown s’è configurato come un «atto di carità compiuto per assicurare prima di tutto la salute dei cittadini».
Nella stessa ottica sono vissute le misure di sicurezza adottate dopo la ripartenza a tutela dei fedeli. «Le sfide presentate da questo delicato momento ci rivelano chiaramente – ha concluso il cardinale Micheal Czerny, sottosegretario del dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, nell’intervento presentato all’Assemblea – che la nostra comune missione è quella di remare tutti insieme verso la giusta direzione indicata da Lui e mai remare contro».