La boy band iKON all'apertura nel 2018 delle Olimpiadi invernali di Pyeong Chang - Ansa
Un’“attrazione fatale” che può anche diventare “letale” quella per il pop sudcoreano. Come per un individuo che le fonti nordcoreane indicano sia stato fucilato davanti a 500 spettatori, colpevole di avere venduto contenuti video e musicali arrivati da oltreconfine. Si è trattata della prima applicazione pubblica dall’approvazione nel dicembre 2020 della Legge per l’eliminazione del pensiero e della cultura reazionari, ovvero di film, serie tv, musica di origine straniera non selezionata dalla censura locale.
Previsti fino a 15 anni di carcere per chi detenga tale materiale «proibito» e l’ergastolo o la pena capitale per chi lo distribuisca. Dal suo punto i vista, il leader del regime nordcoreano, Kim Jong-un, che evidentemente non ha ereditato la passione del padre per la cinematografia goduta e prodotta ma solo quella per le attrici di regime, non ha tutti i torti a preoccuparsi per le «nefaste» influenze della cultura pop del Sud.
La «Korean wave» (Hallyu in coreano) è ora riferimento per buona parte dell’Asia, ma il K-pop sul piano musicale, il K-drama e il K-movie su quello televisivo e cinematografico sono da tempo debordati verso le Americhe e l’Europa. Altrove, quello che Pyongyang ha definito un «temibile cancro» che minaccia la virtù della società, è l’immagine di un Paese che nell’ultimo ventennio ha saputo sviluppare strumenti di intrattenimento di eccezionale qualità e influenza che il mondo ha accolto.
9,5 miliardi di dollari il valore dell'export sudcoreano
Sicuramente Seul non ha mai nascosto di vedere nella Korean wave uno strumento di integrazione anche a Nord del 38mo parallelo che divide una nazione in due Stati che a 68 anni dalla fine di un conflitto fratricida non hanno ancora firmato un trattato di pace. La sua cultura pop ha dimostrato di sapersi fare universale, accogliendo strada facendo tanti elementi esterni, a partire dal recente utilizzo dell’inglese da parte dei suoi gruppi di punta della scena musicale. Primi tra tutti gli acclamatissimi Bts e le rivali (nelle classifiche) Blackpink, miliardari in follower, contatti e like, punta di diamante di una “industria” che al loro Paese non porta soltanto lustro e orgoglio ma anche miliardi di dollari.
258 milioni di dollari sono stati nel 2019
Ci ha provato, il leader Kim a cavalcare l’onda del K-pop quando nel 2018 ha assistito nella sua capitale alla performance di artisti sudcoreani tra cui le Red Velvet in un raro momento di distensione con il Sud. Chiusosi quello spazio, il messaggio glamour e universalista dei vicini è diventato tabù. Inutilmente, sembra, dato che un sondaggio del 2019 tra 200 nordcoreani fuggiti al Sud ha confermato che quasi tutti avevano avuto accesso a video e canzoni proibiti prima di lasciare il loro Paese.
Se negli sceneggiati sudcoreani ambientati in Corea del Nord i personaggi-chiave – i «buoni» ma anche i «cattivi» – mostrano di conoscere la scena pop dei pericolosi guerrafondai oltreconfine, Seul non ha mancato di arruolare i suoi interpreti bombardando la Zona demilitarizzata con le hit del momento. Come nel 2016, quando in risposta a un test nucleare del Nord ha diffuso dagli amplificatori «Bang Bang Bang» della boy band Big Bang.
L’«arma delle hit» spara a salve ma colpisce ogni giorno milioni di consensi nel mondo. Impossibile per Pyongyang controbattere: i suoi metodi e le sue divise sono da tempo fuori moda, come anche l’uso della cannoniere e dei missili per vincere il cuore dei popoli.