Giovani attivisti africani manifestano a Sharm el-Shaikh - Ansa
Non solo non calano. Le emissioni continuano a salire. In base alle proiezioni attuali, per la fine dell’anno avranno raggiunto quota 40,6 miliardi di tonnellate. Di questo passo, c’è il 50 per cento di probabilità che la temperatura superi la soglia di equilibrio di 1,5 gradi nel giro di nove anni. Con quasi sette decenni d’anticipo, cioè, rispetto alla fine del secolo, obiettivo che i 193 Paesi firmatari più l’Ue si erano posti con l’accordo di Parigi e con il patto di Glasgow. Nel 2100, il clima sarà più caldo in media di 2.7 gradi, a meno di un drastico cambiamento di rotta da parte della comunità internazionale. Il monito arriva da due studi concordanti – il Global carbon emission e il Climate action tracker – presentanti alla Cop27 nella giornata dedicata alla scienza. Il doppio motore di crescita di CO2 nell’atmosfera , secondo il Global carbon emission – rete di oltre cento ricercatori internazionali –, sono la deforestazione e l’impiego di energie fossili. La distruzione di alberi per far posto a coltivazioni, allevamenti o miniere continua inesorabile soprattutto in Indonesia, Brasile e Repubblica democratica del Congo, responsabili del 58 per cento dei 3,9 miliardi di tonnellate dei gas nocivi prodotti quest’anno.
Un calo rispetto agli ultimi vent’anni, ma troppo lieve di fronte all’emergenza climatica in atto. Poi c’è lo spinosissimo nodo delle energie fossili. La guerra in Ucraina riportato in auge l’ultra-inquinante carbone. Le emissioni derivate dal suo impiego crescono, perfino nell’Unione Europea, con un incremento intorno al 5 o 6 per cento. Un passo indietro che ha pesato sulla media globale, cresciuta dell’1 per cento. Appena un anno fa, a Glasgow, proprio Bruxelles, insieme agli Usa, si era battuta per bandirlo, acconsentendo di malavoglia al diktat indo-cinese di limitarsi a ridurlo. L’Ue ha poi finito per fare il contrario. La stretta sul gas russo, inoltre, ha rilanciato il consumo di petrolio, come dimostra la crescita delle emissioni del 2.2 per cento. «Il campanello d’allarme del conflitto ucraino sembra non essere stato colto. L’aggressione da parte di Mosca ha mostrato la pericolosità per l’Europa di dipendere dal gas e da un produttore unico. Questo avrebbe dovuto accelerare la transizione verso le rinnovabili non favorire il ritorno a fonti energetiche ormai superate», dice ad Avvenire Robbie Andrew, esperto del Center for internation al climate research di Oslo. In questo scenario, l’obiettivo dell’1,5 gradi appare irraggiungibile. «Era già difficile, se non impossibile, nel 2015, quando è stato sottoscritto l’accordo di Parigi. Ma non è consentito arrenderci – aggiunge –. Quanto più ci avviciniamo, maggiori saranno le probabilità di evitare il disastro. La tecnologia esistente consente la transizione energetica. Occorre la volontà di attuarla, con investimenti. Non è necessario trovare altro denaro, bensì scegliere di disinvestire quello già circolante da progetti inquinanti». Già, come sostiene il Climate action tracker, se venissero mantenuti gli impegni ribaditi a Glasgow si potrebbe restare entro i 2 gradi. Un primo passo potrebbe essere, come suggerito dall'organizzazione, un taglio del gas di un terzo entro il 2030 rispetto ai livelli del 2021. E uno stop ai nuovi impianti in programma per la produzione di gas naturale liquefatto. In questa direzione dovrebbe andare la bozza di piano elaborato da Usa e Ue per ridurre le perdite negli impianti.
Proprio per chiedere maggiore decisione nel contrasto al cambiamento climatico, oggi, gli attivisti di Fridays for the future manifesteranno oggi nel centro congressi di Sharm el-Sheikh. Si tratta di un giorno cruciale: non è solo venerdì, quando avvengono in genere gli scioperi climatici. C’è grande attesa per il previsto arrivo di Joe Biden alla Cop27, che si è impegnato a toccare con il presidente Abdel Fatah al-Sisi la questione dei diritti umani. In realtà, si tratta di una dimostrazione in tono minore. Molti attivisti locali – oltre 3mila, secondo fonti della sicurezza – sono stati arrestati nelle ultime due settimane proprio per prevenire il grande raduno previsto oggi. Ieri, inoltre, è stata impedita l’entrata nel Paese all’italiano Giorgio Caracciolo, attivista di Dignity e di EuroMed Right. All’arrivo all’aeroporto del Cairo, Caracciolo ha detto di essere stato informato da un addetto alla sicurezza di «non essere il benvenuto» nonostante il regolare accredito e di aver dovuto imbarcarsi su un volo per Parigi