sabato 15 maggio 2021
Rinviato di un mese per la pandemia, oggi e domani, inizia il processo costituente con la scelta dei 155 rappresentanti che scriveranno la nuova Costituzione. Si scelgono anche sindaci e governatori
Tutto pronto per il voto in Cile. Il portavoce del governo, Jaime Bellolio, spiega come si voterà in tempo di pandemia

Tutto pronto per il voto in Cile. Il portavoce del governo, Jaime Bellolio, spiega come si voterà in tempo di pandemia - Ansa / Epa

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Il Cile muove questo fine settimana il primo passo sulla strada aperta dal referendum del 25 ottobre scorso. E, proprio come quest’ultimo, sarà un voto nodale, uno spartiacque nella storia della democrazia cominciata trentuno anni fa, al termine della dittatura di Augusto Pinochet. In realtà, oggi e domani, la nazione australe vive tre consultazioni simultanee. I 14 milioni di elettori sono chiamati a rinnovare sindaci e amministrazioni comunali e a designare i governatori. Ma è sulla scelta dei 155 esponenti dell’Assemblea costituente che si concentra lo sguardo del Paese e del mondo.

Toccherà a questi ultimi – come indicato dal plebiscito – redigere la nuova Carta fondamentale che sostituirà quella scritta nel 1980, durante il regime militare. Le quaranta riforme successive hanno espunto dal testo gli elementi controversi, garantendo piena cittadinanza civile e politica agli abitanti. Il suo impianto neoliberista – per cui lo Stato è relegato a un ruolo sussidiario rispetto al mercato –, tuttavia, s’è conservato. Da qui la richiesta – espressa a più riprese – di un nuovo patto che, con il riconoscimento di più diritti sociali, assicurasse maggiore equità. Negli ultimi decenni, il libero gioco delle forze di mercato ha ridotto la povertà ma le disparità si sono cristallizzate. Per l’economista Jorge Kanz non c’è un unico Cile ma «quattro Cile» in ordine decrescente di sviluppo economico.

A riunirli è stato el estallido, la rivolta anti-diseguaglianze dell’ottobre 2019. Alla crisi sistemica, le forze politiche – più o meno di malavoglia – hanno risposto con l’offerta di una nuova Costituzione, scritta – per la prima volta nella storia nazionale – da rappresentanti democraticamente eletti. Una via d’uscita istituzionale sostenuta da quasi l’80 per cento della popolazione, come ha sancito il referendum. La Costituente sognata, immaginata, legittimata deve ora acquisire fisionomia concreta. Quale sarà, però, non è facile ipotizzarlo.

Il Covid ha segnato l’anno e mezzo trascorso tra le proteste e la consultazione odierna. Con un effetto molteplice. Da una parte, ha “congelato” il fermento sociale, dall’altra ha dilatato i tempi del processo costituente. Il plebiscito, inizialmente previsto ad aprile 2020, è slittato a ottobre. La stessa elezione dei costituenti è stata ritardata da aprile a questo fine settimana: l’Assemblea – i cui lavori dureranno dai 9 mesi all’anno – si svolgerà a cavallo dell’elezione presidenziale, il prossimo novembre. Nel frattempo, il coronavirus ha acuito i problemi già esistenti. Con una contrazione di quasi il 6 per cento del Pil e un milione di impieghi perduti – soprattutto da donne e lavoratori meno qualificati –, la condizione dei settori popolari è ulteriormente peggiorata. La massiccia campagna di vaccinazione – quasi nove milioni di persone hanno ricevuto almeno la prima dose –, inoltre, non è riuscita a impedire, da marzo, un nuovo aumento di contagi, per via della limitata efficacia del siero iniettato: il cinese Coronavac.

La paura dell’infezione rischia di ridurre l’affluenza, già abitualmente “contenuta”: intorno al 50 per cento nonostante il voto sia obbligatorio. La frammentazione si profila come un’altra delle caratteristiche dell’Assemblea. Dei circa 1.300 candidati, il 60 per cento è legato a qualche partito. Destra moderata e ultradestra si presentano unite in un’unica lista, mentre la sinistra – compagine che va dal centrosinistra alla sinistra radicale – sono divise in una decina di raggruppamenti. In ogni caso – per analisti e sondaggi –, nessuna forza politica raggiungerà il 50 per cento. Il negoziato sarà, dunque, l’unica via per arrivare alla sintesi contenuta nella Carta, poi ratificata da un nuovo plebiscito. Un’impresa ardua: se riuscirà a realizzarla, però, il Cile, come afferma il costituzionalista di Yale, Bruce Ackerma – potrebbe diventare un modello per la regione.

Al momento, gli unici dati certi sono l’equa ripartizione dei 138 seggi fra donne e uomini, mentre i restanti 17 sono riservati ai popoli indigeni. Insieme all’ampliamento del ruolo pubblico nei servizi di base, dalla scuola alla sanità, quello dei diritti delle minoranze sarà un nodo cruciale. I nativi sono oltre il 12 per cento eppure nessuna delle tre precedenti Costituzioni riconosce le loro lingue, culture e presenza sul territorio. «Tutte questioni che finora abbiamo eluso – afferma José Antonio Viera Gallo, ex politico e noto giurista –. È il tempo di affrontarle.

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