(Ansa)
Il peggio, per adesso, è passato. L’Aula di Westminster ha respinto ieri con un margine di appena 43 voti l’opzione di uscire dall’Ue senza un’intesa concordata. Lo spettro del no deal, che per settimane ha fatto tremare mercati e cancellerie di tutta Europa, oggi, fa un po’ meno paura. Ciò non significa che lo stallo sulla Brexit sia stato superato. Ad appena 14 giorni dal fatidico 29 marzo, termine entro cui si dovrebbe compiere la separazione tra Londra e Bruxelles, il Parlamento si accinge oggi a chiedere il posticipo della Brexit.
L’esito della votazione di ieri non rappresenta una vittoria politica per la premier Theresa May. Un “incidente” procedurale ha anzi confermato che la situazione le sta sfuggendo di mano. La Camera ha approvato un emendamento presentato dal laburista Jack Dromey e del conservatore Caroline Spelman che esclude che il Regno Unito possa in alcuna circostanza lasciare l’Ue senza un accordo. Sulla base di questo voto, che ha fatto risalire il valore della sterlina, il governo ha modificato la sua mozione originaria dando poi parere negativo a un altro emendamento, dello stesso tipo, che l’Aula ha approvato. La tensione è salita alle stelle. «L’opzione di una Brexit no deal – si è limitata a commentare la May – resta lo sbocco di default in mancanza di un accordo o di un rinvio».
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Theresa May, come sempre, incassa e va avanti. Oggi l’aspetta in Aula un’altra votazione chiave, l’ultima: quella sul posticipo. Nella mozione che verrà proposta, il governo ha fissato la data del 20 marzo come termine massimo entro il quale tenere un terzo voto di ratifica dell’accordo con la Ue sulla Brexit. Se il Parlamento approverà l’accordo entro mercoledì prossimo, il governo chiederà alla Ue un rinvio al 30 giugno dell’uscita. Ma se l’accordo – già bocciato due volte dai Comuni – non passerà entro il 20 marzo, allora il governo dovrà chiedere una proroga più lunga, cosa che costringerà la Gran Bretagna a partecipare alle elezioni europee. «I parlamentari – ha detto May – devono capire e accettare che se non troviamo un consenso nei prossimi giorni, ci sarà bisogno di un’estensione più lunga». La precisazione suona come un avvertimento poiché questo comporterebbe la partecipazione del Regno Unito alle europee di maggio. «Non penso – intima – che questo sarebbe il giusto esito».