Il trionfo dopo la battaglia di Santa Clara del 28 dicembre 1958
L’ultima apparizione pubblica è del 13 agosto, durante i festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno. L’addio autentico a Cuba, però, lo aveva dato quattro mesi prima, il 20 aprile, durante il VII Congresso del Partito comunista. Allora, Fidel Castro aveva detto: “Forse questa sarà l’ultima volta in cui parlo in questa stanza. Presto sarò come tutti gli altri, il turno arriva per tutti”. Poi, aveva concluso: «Ai nostri fratelli dell’America Latina e del mondo dobbiamo trasmettere che il popolo cubano vincerà».
La parola emblema
«Venceremos». La parola emblema di Fidel Castro, ripetuta milioni di volte – e moltiplicata in altrettanti murales sparsi per l’isola – nei suoi 47 anni di potere. E, poi, sussurrata, ostinatamente - mentre il sistema cubano si sbriciolava non per l’invasione statunitense ma per l’inefficienza economica – quando, lasciata la guida del Paese, si era ritirato dalla scena pubblica, diventando una sorta di coscienza critica della Revolución. Una coscienza spesso scomoda: non è un mistero il fastidio del Líder Máximo per il processo di normalizzazione con gli Usa. La storia, però, procedeva a ritmo serrato, a dispetto di Fidel, l’uomo del Secolo Breve. Tanto radicato nel Novecento da essere incapace di proiettarsi nel nuovo millennio. Non è facile sciogliere l’enigma Castro. Perfino la sua data di nascita è incerta. Registrato all’anagrafe quattro volte, alla fine l’ha spuntata l’ultimo certificato, datato 13 agosto 1926. In realtà, sembra che il terzogenito dei Castro Ruz fosse venuto al mondo un anno dodici mesi dopo. Il documento sarebbe stato “ritoccato” dal padre Ángel per poterlo iscrivere al collegio dei gesuiti di Bélem. Sicuro, comunque, è il luogo dove Fidel è nato: Birán, nella Cuba orientale, nella tenuta di un facoltoso possidente. L’origine agiata non ha impedito al giovane rampollo, di guidare un intento di insurrezione contro il dittatore dell’epoca, Fulgencio Batista.
L’assalto alla caserma Moncada, il 26 luglio 1953, è costato a Fidel il carcere e poi l’esilio in Messico. Da lì, insieme a 81 compagni – tra cui l’argentino Ernesto Guevara – è tornato sull’isola per dar vita alla Rivoluzione che, il 1 gennaio 1959, contro ogni previsione, ha rovesciato il regime di Batista. Le nazionalizzazioni delle proprietà nordamericane a Cuba ha prodotto la crescente ostilità di Washington. Fidel, allora, ha gettato il Paese tra le braccia dell’Urss. Fin quando quest’ultima non è crollata, lasciando, negli anni Novanta, il piccolo Paese caraibico al proprio destino. E’ stata l’era della bancarotta economica e dell’aumento del dissenso, sempre più insofferente al sistema di partito unico e repressione delle libertà politiche.
L'«autunno del patriarca»
Così è iniziato il lungo “autunno del patriarca” con il progressivo ritiro del Comandante, prima provvisorio – nel 2006 -, poi definitivo, due anni dopo. Lo scettro è passato al fratello Raúl, artefice “dell’aggiornamento” del sistema e dell’apertura all’ex nemico «yanky». Un percorso che Fidel non ha mai condiviso. Fino alla fine, con le mani sempre più tremanti, è rimasto ostinatamente attaccato al suo slogan: «Venceremos».