Secondo l'onu, restano tra i 250 e i 300mila i bambini costretti a combattere nel mondo - Ansa
L’Unicef ha dichiarato il 12 febbraio la giornata internazionale contro l’uso dei bambini sodato, un fenomeno che a lungo si è tentato di combattere, ma che purtroppo è ancora diffuso in diverse parti del mondo. Se in passato i bambini venivano rapiti per essere impiegati nei conflitti, oggi si assiste a veri e propri reclutamenti volontari, frutto di un indottrinamento e di un generale deterioramento delle condizioni economiche tale per cui la vita sotto le armi è paradossalmente meglio di quella civile.
Lo ricorda L'Archivio del Disarmo, con la pubblicazione di un numero speciale di “IRIAD Review” con il paper di Serena Doro Minori e conflitti armati. Quanto è ancora diffuso nel mondo l’utilizzo dei bambini soldato?, mensile disponibile on line sul sito www.archiviodisarmo.it.
A livello giuridico arruolare minori è vietato da diverse convenzioni e trattati internazionali (come la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, lo statuto della Corte Penale Internazionale, i Principi di Parigi del 2007 o la Carta Africana sui Diritti e il Benessere del Bambino), ma livello pratico, purtroppo, sono ancora moltissime le organizzazioni nel mondo che ricorrono a manodopera infantile per svolgere compiti direttamente legati ai conflitti armati. Non esiste a livello internazionale nessuno strumento che sanzioni chi si macchia di tali crimini senza aver ratificato le sopracitate Carte di Diritti, essendo quest’ultime, espressione del diritto pattizio e pertanto vincolanti solo per i contraenti.
Dietro pressione della società civile, anche per rimediare a questa grave inefficienza del diritto, è nata a fine anni ’90 un’agenzia delle Nazioni Unite, Children and Armed Conflict, incaricata di proteggere i bambini coinvolti in conflitti armati, raccogliere informazioni e dati relativi alle violazioni perpetuate nel mondo a danno di minori, sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere la cooperazione internazionale allo scopo di migliorare lo status dei ragazzi costretti a vivere nel mezzo di un contesto bellico.
Le guerre, secondo l’Onu, sono responsabili di almeno sei gravi violazioni che affliggono in maniera permanente e ingiustificabile la vita dei bambini e ragazzi: 1) arruolamento e uso di minori in contesto bellico, 2) uccisione o mutilazione, 3) violenza sessuale, 4) attacchi a scuole o ospedali, 5) rapimento e 6) negazione dell’accesso agli aiuti umanitari.
Ogni anno il Segretario Generale stila un rapporto ove vengono elencati tutti i Paesi, i gruppi e le Forze armate che si sono macchiati di uno o più crimini elencati. Una pratica che è utile, oltre a identificare i colpevoli, a stigmatizzare anche tutti quei Paesi terzi che entrano in contatto (attraverso la compravendita di armi o svariati accordi di natura militare o commerciale) con le parti citate, divenendo a loro volta indirettamente complici dei reati. I trasgressori chiamati in causa possono essere rimossi dall’elenco solo adempiendo agli obblighi previsti dalle Nazioni Unite circa la tutela e la difesa del diritto all’infanzia e impegnandosi attivamente affinché non si verifichino in futuro nuovi crimini. Nel rapporto del 2019, contenente dati relativi alla situazione nel 2018, risulta che le violazioni a danno di minore siano state 24.000, in almeno venti conflitti armati, i bambini uccisi o mutilati erano più di 12.000, mentre quelli arruolati superavano le 7.000 unità. I bambini soldato operativi nel mondo, invece, risultano ancora moltissimi, si stima tra le 250.000 e le 300.000 unità; un dato che dovrebbe far riflettere parecchio, soprattutto se si considera che le violazioni perpetuate a danno di minori all’interno dei conflitti armati sono considerati dalla comunità internazionale una minaccia alla pace e alla sicurezza globali.
Arruolare o ricorrere a bambini soldato è oggi più facile che in passato anche a causa dell’ampia diffusione (e della facile reperibilità) delle armi leggere e di piccolo calibro, attrezzature che non hanno bisogno della forza fisica di un adulto per essere impiegate e che di conseguenza divengono ottimali per essere distribuite e adoperate anche dai minori. Tra le armi più diffuse si ricordano il Kalashnikov AK-47, un mitragliatore del peso che varia tra i 3,5 e i 2,8 kg, facilmente smontabile e la cui manutenzione non richiede particolare cura, prodotto da industrie russe e da altre, principalmente diffuso in 100 milioni circa in Africa, Asia e Medio Oriente, e il fucile mitragliatore M16, dalle caratteristiche tecniche simili e diffuso in 8 milioni di esemplari nel continente americano, in Europa, in India e in Arabia Saudita.
Oggi si stima che le armi leggere in circolazione nel mondo siano 1.013 milioni, di cui 857 (circa l’85%) in mano a civili. Di queste solo il 12% è registrato e molte non vengono neanche annoverate nel conteggio perché di fabbricazione autonoma. Già da questi pochi dati è facilmente intuibile come un regime di non-regolamentazione unito ad un’alta diffusione e reperibilità della merce rende veramente conveniente e semplice fare ricorso a questi fucili per armare i bambini e gli adolescenti reclutati. Un controllo più stretto e sistematico circa la diffusione delle armi leggere sarebbe quindi quantomeno necessario anche per disincentivare le forze e i gruppi armati ad arruolare minori.
Per quanto riguarda l’Italia bisogna riconoscere che essa è sempre stata in prima linea nel difendere i diritti dell’infanzia e condannare qualsiasi tipo di violenza a danno di minori, ratificando tutte le convenzioni e i trattati che si occupano di tutelare bambini e adolescenti. Purtroppo sono stati contemporaneamente firmati degli accordi di cooperazione militare con alcuni tra gli Stati rei di commettere, o aver commesso, abusi a danno di minori (come Ciad, Niger, Nigeria, Repubblica del Congo e Mauritania). Grazie a questi accordi diversi Paesi, presenti nel rapporto del segretario delle Nazioni Unite circa la situazione dei bambini all’interno dei conflitti armati (tra cui merita di essere menzionata anche la Somalia, con cui l’Italia collabora grazie alla legge 64 del 19/4/2016), hanno ottenuto informazioni e conoscenze specialistiche nel settore militare sia per quanto riguarda i sistemi d’arma sia in relazione alle tecniche di addestramento.
Un’ulteriore riflessione merita di essere fatta anche a proposito delle missioni militari operative che l’Italia continua a mantenere in Afghanistan, Somalia e Iraq, tutti Stati nei quali, da oltre dieci anni, si sono registrati abusi, sfruttamenti e arruolamento di minori. L’Afghanistan è presente dal 2009 nel report rilasciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite come esempio negativo di Governo responsabile di atrocità e abusi (tra cui anche il reclutamento). Paese principale destinatario dei fondi che il nostro Governo stanzia per la cooperazione allo sviluppo è la Somalia, dove, lo scorso anno, è stato registrato il numero più alto di arruolamenti minorili, 2.300.
Nel caso dei bambini e adolescenti reclutati dal Daesh (sedicente Stato Islamico), a differenza di altri contesti, gli arruolamenti sono stati in alcuni casi volontari, frutto di un indottrinamento religioso perpetuato su intere comunità e famiglie; un elemento che condizionerà necessariamente anche il futuro reinserimento in comunità degli ex-combattenti e con cui la comunità internazionale sarà chiamata a confrontarsi e interrogarsi quanto prima se si vorranno impedire ulteriori radicalizzazioni nocive per la pace e la sicurezza internazionali. È bene ricordare, infatti, che in tutti i casi, sebbene l’adesione da parte di bambini e adolescenti sia stata spontanea, che molto probabilmente, si è arrivati a compiere una scelta del genere dietro coercizione psichica; l’indottrinamento, la persuasione e la manipolazione mentale sono infatti atti che in maniera coercitiva, tanto quanto i rapimenti fisici, costringono i minori a fare scelte contrarie al proprio benessere e al proprio interesse. È sempre la volontà viziata di un adulto, alla fine, a decidere la sorte e il destino di un minore.
Solo se si riuscirà a eliminare definitivamente la presenza di bambini e ragazzi all’interno dei gruppi e delle forze armate di tutto il mondo, si potrà veramente dire di aver raggiunto un importante traguardo a livello di comunità internazionale e di azione collettiva. Il ricorso a bambini soldato deve necessariamente diventare una pratica condannata e perseguita sia a livello locale sia a livello internazionale riconoscendolo quale motore di problemi sociali, povertà, instabilità e tensione. Le future generazioni andrebbero considerate come un valore, una risorsa su cui investire, e non un insieme di soggetti sacrificabili; solo così, forse, si potrà apportare quel cambiamento culturale necessario affinché la guerra e la violenza non siano più considerati mezzi validi per la risoluzione dei conflitti, tanto a livello micro quanto a livello macro sociale.