La polizia sta usando la mano pesante contro i dimostranti a Minsk - Ansa
AGGIORNAMENTO Svetlana Tikhanovskaya, di cui da lunedì sera non si avevano più tracce, ha lasciato la Bielorussia e "è al sicuro in Lituania". Lo ha annunciato su Twitter il ministro degli Esteri lituano, Linas Linkevicius. La candidata d'opposizione alle presidenziali bielorusse, vinte tra accuse di brogli dall'autoritario leder Aleksandr Lukashenko, aveva contestato i risultati chiedendo un riconteggio delle schede. Per presentare ricorso si era recata lunedì alla commissione elettorale centrale a Minsk, dove dal suo staff si era diffusa la notizia che fosse stata trattenuta dalle autorità. Il marito di Tikhanovskaya, Serghei Tikhanovsky, un popolare blogger che aveva provato a candidarsi era stato arrestato a maggio, mentre i figli della coppia erano stati mandati all'estero per precauzione.
La Bielorussia tenta di voltare pagina, ma non ci riesce. Come ampiamente previsto, il presidente della Repubblica uscente, Aleksandr Lukashenko è stato riconfermato per la sesta volta presidente, con un consenso, ufficiale, dell’80 per cento. Sembrerebbe una vittoria come tutte le altre, ma questa volta le cose sono molto diverse e a dimostrarlo sono le migliaia di persone che sono scese in piazza a Minsk e in altre venti città prima del voto. Nei giorni precedenti alle elezioni chiedevano una Bielorussia più democratica e trasparenza alle urne. Nelle ore successive hanno dato voce a tutta la loro rabbia per un risultato che sarebbe stato ampiamente sfalsato e frutto di brogli e violenze. La principale oppositrice di Lukashenko, Svetlana Tikhanovskaya, moglie di un blogger messo in prigione, si è rifiutata di riconoscere il risultato, secondo cui si sarebbe fermata al 9,9 per cento, e ha visto parte del suo staff arrestato. Organizzazioni non governative e attivisti hanno denunciato il ribaltamento del risultato. Questo, in realtà, sarebbe molto simile a quello del voto all’estero, con Svetlana Tikhanovskaya oltre l’80 per cento e Lukashenko sotto il 10 per cento. Il regime cerca di minimizzare, il presidente ha dichiarato senza mezzi termini che Minsk non sarà un’altra Maidan. Ma la rabbia dei manifestanti sembra incontenibile e le prossime settimane saranno più complicate di quanto previsto dal presidente rieletto.
«Questa è stata la prima elezione il cui risultato non veniva considerato scontato cinque giorni prima della loro fine – spiega ad Avvenire Valeria Kostyugova, analista da anni impegnata nello studio delle dinamiche interne del Paese –. Centinaia di migliaia di persone hanno preso parte attiva in tutte le fasi della campagna elettorale, dalla raccolta delle firme per le candidature all’osservazione dei seggi, dall’osservazione ai picchetti. Il primo su cui sono stati messi concorrenti e membri delle loro squadre prima della campagna». Si tratta quindi della prima volta in cui i bielorussi hanno avuto la sensazione tangibile che il loro voto sia stato calpestato, insieme con i diritti fondamentali e la loro libertà di espressione. Hanno iniziato a scendere in piazza a migliaia, nonostante le manovre diversive da parte del governo, che ha isolato la rete Internet e fatto mancare la corrente nelle zone centrali della capitale Minsk per impedire ai manifestanti di scendere in piazza. L’elettorato, però, non si è fatto intervenire e né dalle azioni disincentivanti, né dalla violenza della polizia, che ha mandato in ospedale centinaia di persone, alcune in condizioni molto gravi. Oltre tremila dimostranti sono stati arrestati. La repressione ha sollevato un coro di critiche internazionali, Casa Bianca in testa che si è detta «molto preoccupata».
«Malgrado i costanti sforzi delle autorità per isolare il Paese – continua Kostyugova –, la società bielorussa è sempre più consapevole di quanto sia stata estranea alle dinamiche del mondo negli ultimi 25 anni. Valorizzano sempre di più se stessi e le persone, la loro dignità, sono più solidali, sono più esigenti nei confronti dello Stato, si sentono sempre più cittadini del loro Paese e artefici del loro futuro». Una consapevolezza con la quale probabilmente il governo di Minsk non ha ancora imparato a fare i conti. «Andremo avanti fino a quando non si rifaranno le elezioni – hanno spiegato molto manifestanti ai giornalisti stranieri presenti in piazza e anche loro coinvolti nelle cariche della polizia –. La gente è molto arrabbiata e il prossimo passo potrebbe essere il blocco delle fabbriche». Il presidente russo, Vladimir Putin, è stato fra i primi a congratularsi con Lukashenko per il risultato elettorale, ma è anche fra quelli più preoccupati. Domenica erano migliaia i bielorussi che hanno protestato davanti alla loro ambasciata a Mosca, posta proprio dietro il Cremlino, perché non erano riusciti a votare. Putin è preoccupato perché anche nell’est della Russia le manifestazioni per la rimozione del governatore locale non accennano a diminuire e teme che la rabbia dei bielorussi, un tempo stato satellite di Mosca e sotto controllo, potrebbe accendere una miccia difficilmente controllabile anche dentro i confini nazionali.