lunedì 22 luglio 2024
Nel 1988 si candida per la prima volta alla presidenza. Nel 2008 si accoda, come vice, ad Obama che nel 2016 gli preferisce Hillary Clinton. Per questo ripete spesso: «Solo ho battuto Trump»
Joe Biden ripreso mentre esce dallo studio ovale alla Casa Bianza

Joe Biden ripreso mentre esce dallo studio ovale alla Casa Bianza - Ansa

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Tutti gli addii lasciano dietro di loro un dolce strascico di malinconia. Anche l’anziano Joseph Robinette Biden, che si congeda dalla corsa alla Casa Bianca semina un penoso non detto, che nessuna formula ufficiale potrà mai spiegare fino in fondo. Anche se il lungo addio del presidente era dovuto, previsto, incitato, sollecitato e dunque opportuno, considerato che alle sue spalle si agitava oramai una muraglia di veti, di abbandoni, un rumore di sciabole iniziato con il tintinnio del Conspirator in Chief Barack Obama.

L'ottantunenne Biden viene da lontano. Figlio di Joseph Senior – un venditore di automobili usate discendente di ugonotti emigrati in Inghilterra - e dell’irlandese Catherine Finnegan, è nato a Scranton in Pennsylvania il 20 novembre del 1942. Quando nel 1973 esordisce alla Camera Alta come senatore del Delaware è ancora uno Zelig in mocassini e giubbottino di renna: il dollaro si svalutava del 10%, l’ultimo soldato americano lasciava Saigon e Richard Nixon cominciava a sprofondare nella palude del Watergate nella quale sarebbe naufragato.

Inizialmente il diligente Joe aveva provato a fare l’avvocato, ma si annoiava. Come lo annoiavano le proteste e i cortei contro l’intervento americano in Vietnam. Astemio, affetto da una leggera balbuzie, si butta inaspettatamente in politica fra le file dem. E altrettanto inaspettatamente vince e si guadagna un seggio al Senato. Tutti lo apprezzano, nessuno ne ha una stima esagerata, Joe è l’everyman che dorme dentro il sogno americano, l’uomo qualunque che non desta preoccupazioni, l’amico fidato al quale puoi confidare i tuoi guai, ma anche l’Everyman di Philip Roth, chiamato a fare i conti con il dolore (la moglie Neila muore in un incidente stradale mentre stava andando a comprare un albero di Natale assieme alla figlia di tredici mesi Naomi, i suoi fratelli “Beau” e Hunter rimangono gravemente feriti). Nel 1977 si risposa con Jill Tracy Jacob, un’insegnante di discendenza italiana.

Nel profondo del cuore Joe coltiva un sogno: la Casa Bianca. Ci prova nel 1988, ma scopiazza malamente un discorso del laburista britannico Neil Kinnock, perde e si fa dare del “windbag”, ossia del trombone.

Risorgerà grazie alle sue doti manzoniane: troncare, sopire, utilissime nel navigare tranquillo al Congresso, prima di accodarsi al carro vincente di Obama, senza fiatare, lui che è cattolico, sulla libertà assoluta di aborto promossa dal presidente. «Non lo sapevate? - malignano i colleghi – Joe si adatta come l’acqua al recipiente».

Nel 2004 John Kerry gli offre la vicepresidenza, ma Biden – saggezza? astuzia? esperienza? – rifiuta. E fa bene. Kerry perde malamente contro George W. Bush. Quattro anni dopo a ingaggiarlo è Obama. Un vicepresidente come lui è perfetto: bianco, moderato, cattolico, rassicurante e soprattutto assai poco ingombrante, indispensabile contrappeso al Commander in Chief nero. È così che Joe diventa lo Zio d’America. Ma il sogno della Casa Bianca continua. Obama però nel 2016 lo mette da parte: il posto è riservato a Hillary Clinton. Biden se la legherà per sempre al dito. Forse per questo ha cercato di resistere alle pressioni di Obama & company. «In fondo – insisteva - solo io sono riuscito a battere Trump», e si illudeva di poterlo fare di nuovo. Ma era vecchio, confuso, indeciso e cocciuto insieme. Non più Uncle Joe, ma solo un balbettante comandante in capo che non sa più come schierare i suoi eserciti. Troppo poco, per chi siede nello Studio Ovale. Alla fine il conto è arrivato. Con la mestizia che ogni uscita di scena inevitabilmente comporta.

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