domenica 24 marzo 2024
Il direttore della biblioteca di Memorial: «Dobbiamo liberarci delle catene del passato sovietico per sciogliere quelle del presente»
Il direttore della biblioteca di Memorial, Boris Belenkin

Il direttore della biblioteca di Memorial, Boris Belenkin - Andrew Rushailo-Amo

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La storia recente dell’Unione Sovietica-Russia ha il movimento circolare di una giostra. «Tutto è finito da tempo, ma ancora e ancora ritorna nello stesso posto, con le stesse parole e la stessa cattiveria, come una spirale senza una fine apparente. A volte, però, la giostra si ferma. A volte per un tempo breve, a volte per anni. Ma mentre tutto sembra tacere, i cavalli di cartapesta si rinnovano, e ripartono ancora seguendo lo stesso cerchio, sotto gli stessi slogan, con le stesse prigioni, le stesse bugie». Ne è convinto Boris Belenkin, direttore della biblioteca di Memorial, l’organizzazione-Premio Nobel per la Pace che da 37 anni scava alla ricerca delle radici del presente, sepolte nel pantano vischioso della propaganda. Del sistema sovietico prima, dal regime putiniano poi. Il risultato è un gioco di specchi che deforma continuamente il passato, trasformato in una massa indistinta in cui la realtà attuale affonda fino a perdersi. A ricomporre il puzzle di quanto accaduto dopo la Rivoluzione d’ottobre, Belenkin ha dedicato 35 anni. La metà della sua esistenza. Un lavoro coraggioso, paziente, ostinato, che gli è costato l’attuale esilio a Praga dopo il bando di Memoria. Una vicenda narrata con la fluidità di un romanzo in “Non lasciare che ci uccidano”, appena pubblicato in Italia da Rizzoli. L’autore lo ha presentato ieri a Roma nell’ambito della rassegna Libri come e oggi sarà a Milano, al Memoriale della Shoah.

Quale lezione può trarre la Russia attuale dal proprio passato sovietico?

Dallo studio dell’era sovietica e post, emergono con chiarezza alcuni snodi cruciali da cui si sarebbero potuti dipanare sentieri differenti. Nel 1917, ad esempio, quella bolscevica non era l’unica strada percorribile. Alla morte di Stalin, nel 1956, l’Urss avrebbe potuto scegliere un percorso democratico più deciso. Lo stesso sarebbe potuto accedere nell’epoca di Eltsin. Questi bivi sono state delle occasioni perse. Non deve, però, andare sempre così. La storia insegna che ci sono strade alternative. E che la Russia può decidere intraprenderle.

Perché fatica tanto nel farlo?

Perché non ha elaborato molte questioni, non solo relative al rapporto tra passato e presente ma anche allo stesso passato sovietico. Il fatto è che la mistificazione della realtà perpetrata dal regime ai tempi dell’Urss ha creato veri e propri “buchi”, che non si è riusciti a colmare. Per questo è tanto importante il lavoro degli storici. Il primo ad esserne consapevole è proprio Vladimir Putin.

Che cosa intende?

Il capo del Cremlino ha fatto della riscrittura della storia – della creazione di una mitologia a suo uso e consumo - uno dei cardini della propria narrativa. Non c’è discorso di Putin in cui non ci sia un riferimento a questa ricostruzione alternativa. La storia, così, in Russia è diventata un campo di battaglia, come emerge con drammaticità dall’esame dei libri di testo scolastici. E le forzature si fanno di anno in anno più evidenti.

Quali delle tante mistificazioni dell’era sovietica hanno avuto maggior impatto nella Russia attuale?

La lettura imperialista dei rapporti con i vicini. È un tabù inconscio che la Russia si porta dentro. Non solo i gruppi dominanti, anche il resto della società. Fin quando non avremo il coraggio di guardare in faccia il problema e di affrontarlo, questo fardello peserà come un macigno sulle nostre relazioni con l’intera Europa orientale. Dobbiamo disfarcene o ci schiaccerà.

Crede che la recentissima riconferma di Putin al potere sia un segno di forza o, alla luce dei pesanti interventi per condizionare il voto, sia, invece, un indizio di debolezza?

In Russia non ci sono state elezioni. Solo una delle tante cerimonie con cui il potere si auto-celebra. Un evento di propaganda come tanti altri. Il voto di questa settimana non ha, dunque, più importanza di un concerto rock. Nella pratica, per l’assetto del sistema putiniano, non cambia nulla. Putin ha la stessa forza o la stessa debolezza di otto giorni fa.

Qual è il suo augurio per la Russia e il suo popolo?

A entrambi auguro di liberarsi dalle catene del passato per sciogliere quelle del presente.

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