mercoledì 8 novembre 2017
Sconfitta in Virginia e conferma di de Blasio a New York: il rapporto con i repubblicani è a rischio. Se non andrà in porto la riforma fiscale, il partito potrebbe decidere di disarcionare il tycoon
Flop alle urne per Trump: le tasse ultima chance prima del voto di medio termine
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Ha sostenuto i due candidati repubblicani in corsa per la poltrona di governatore in Virginia e in New Jersey: hanno perso entrambi, infliggendo al presidente Donald Trump una pesante sconfitta al suo primo test elettorale da quando si è insediato alla Casa Bianca. Il democratico Ralph Northam è stato eletto governatore della Virginia - Stato chiave delle presidenziali - battendo con facilità il rivale repubblicano, Ed Gillespie. L'onda blu, che ha galvanizzato i democratici in vista delle elezioni di medio termine nel 2018, quando saranno in gioco il controllo di Camera e Senato, ha investito anche il New Jersey. I democratici si sono ripresi con Phil Murphy lo stato governato negli ultimi 8 anni dal repubblicano Chris Christie.


I democratici, che hanno presentato queste elezioni come un referendum su Trump, si sono aggiudicati la maggioranza nel Parlamento della Virginia e molti sindaci, a partire dall'italoamericano Bill de Blasio, confermato primo cittadino di New York. Northam, durante la campagna elettorale aveva definito il presidente "un maniaco narcisista" mentre il suo rivale sconfitto, Ed Gillespie, ha giocato la carta “trumpiana” del populismo. "Ed Gillespie ha lavorato duramente ma non mi ha sostenuto e non ha sostenuto ciò in cui credo", si è affrettato però a twittare Trump, pren
dendone le distanze. "Non dimenticate che i repubblicani hanno vinto 4 seggi su 4 alla Camera e con l'economia che fa numeri record continueremo a vincere, anche più di prima", ha scritto il presidente.


La sua popolarità, però, è ai minimi: il 59% degli americani ne boccia l’operato e il suo rapporto con il partito repubblicano, mai veramente decollato, è in crisi. L'unione inizialmente è stata osteggiata dall'establishment del Grand Old Party (Gop), che ha in tutti i modi cercato di disarcionare la candidatura del miliardario. Trump ha vinto le primarie sbaragliando la concorrenza, da Marco Rubio al blasonato Jeb Bush, messi k.o. a suon di insulti e populismo.
Sebbene tutti i candidati Gop abbiano firmato un impegno a sostenere il "nominato", in cinque si sono rifiutati di farlo anche dopo la convention di Cleveland che nel luglio del 2016 ha tributato a Trump la nomination.

Tra i critici più noti alcuni parlamentari, dai senatori dell'Arizona John McCain e Jeff Flake, a Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell'Alaska. La maggioranza repubblicana in Congresso ha costantemente ignorato gli impulsi dell'Amministrazione. Dalla clamorosa mancata abolizione dell'Obamacare alle sanzioni contro la Russia, dal budget per il muro alla frontiera con il Messico fino all'impegno nei confronti della Nato. Contro la Russia è stato approvato un pacchetto di sanzioni con una legge che consente al Congresso di scongiurare ogni eventuale tentativo in senso contrario di Trump. La maggioranza in Senato è stata talmente schiacciante (92 si e 2 no) che il presidente non ha potuto porre il veto, pur definendo il provvedimento sulle sanzioni incostituzionale.


Il budget autorizzato dal Congresso per il Pentagono è stato di 640 miliardi di dollari contro i 603 miliardi proposti della Casa Bianca, accusata di non rispettare le promesse sul sostegno alle forze armate. Il Senato ha poi approvato un emendamento per confermare l'impegno americano rispetto all'articolo 5 del Trattato Nato, ribadendo pertanto che un attacco contro uno degli alleati rappresenta un attacco contro tutta l'Alleanza. Un voto dall'alta valenza simbolica per un presidente che la Nato avrebbe preferito rottamarla. Quanto alla richiesta del miliardario di tagliare del 32% il budget del dipartimento di Stato, è caduta nel vuoto, ignorata da entrambi i partiti.


Trump ha vissuto il tutto quasi come affronti personali da parte di un partito che non gli "ubbidisce". Le ire del presidente hanno così travolto Reince Priebus, suo ex capo di gabinetto che prima di sbarcare alla Casa Bianca era il presidente del Comitato Nazionale Repubblicano (Cnr), l'organo direttivo del partito. Al suo posto Trump ha messo il generale John F. Kelly, ex segretario della Sicurezza Nazionale, ex marine molto rispettato ma che non rappresenta, in senso tecnico, un esponente del partito repubblicano.


L’unica occasione che hanno i repubblicani di ricompattarsi e presentarsi agli elettori con qualcosa di concreto in vista delle elezioni di medio termine – nel 2018 saranno in gioco tutti e 435 i seggi della Camera e un terzo del Senato (33 seggi) – è la riforma delle tasse su cui punta anche Trump e di cui parla diffusamente in questa intervista alla Cnn lo speaker repubblicano della Camera Paul Ryan.

L'obiettivo è di varare una legge da far arrivare alla firma del presidente entro Natale. "Se c'è una cosa che unisce i repubblicani è la riforma delle tasse", ha osservato il leader di maggioranza al Senato, Mitch McConnell. Per Trump potrebbe essere l’ultima chance di portare a casa un risultato altamente simbolico agli occhi di chi lo ha votato un anno fa. E per evitare che lo stesso partito non si convinca che sia meglio disarcionarlo - magari con un procedimento di impeachment per lo scandalo Russiagate - invece di arrivare al voto di medio termine con il suo pesante fardello sulle spalle.


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