Il fotografo Sebastião Salgado - Ufficio Stampa Maxxi/Contrasto
Nubi. Lacrime di luna sospese nel cielo. Gocce che, una dopo l’altra, l’impeto del pianto trascina giù. Non c’è consolazione per l’unione spezzata con l’amante sole. Il gemito acquatico ferisce la terra e la scava, fino a diventare fiume maestoso. «Sono state le lacrime della luna a creare il nostro Rio delle Amazzoni».
Trasformato in note dal compositore Heitor Villa-Lobos, l’antico mito dei popoli Tupi-Guarani accompagna il visitatore. Non c’è via di fuga per lo sguardo. Magnetico, l’intrico di alberi, acqua e cielo lo cattura e lo rapisce. Mentre gli occhi assorti vedono emergere dal viluppo, corpi e volti di donne e uomini, tanto diversi e tanto uguali.
Ogni scatto di Amâzonia è "fotografia", nel significato etimologico del termine: un esempio magistrale di scrittura con la luce. Per questo, i colori – tanto audaci in questa parte di mondo – non sono necessari. Sebastião Salgado racconta l’Amazzonia e le sue genti in bianco e nero. Come sempre e più di sempre. Perché il suo ultimo, colossale lavoro – da oggi in mostra al Museo nazionale delle arti del XXI secolo (Maxxi) di Roma, unica tappa italiana – è un gesto estremo d’amore. «Ci ho messo oltre dieci anni per realizzarlo. Le primissime foto sono addirittura del 1998. Ho deciso di dedicarmici – quando ancora l’Amazzonia non era di "moda", anzi nessuno se ne preoccupava – perché era necessario. Era ed è necessario mostrare questo ecosistema essenziale. E la dignità dei popoli che lo abitano», spiega il fotografo brasiliano, nella capitale per l’inaugurazione dell’esposizione prodotta dal Maxxi in collaborazione con Contrasto e curata da Lélia Wanick, compagna di vita e di lavoro dell’artista.
«Non lasciamo morire la foresta minacciata, dipendiamo da lei. I leader diano voce al mondo rurale. Il Papa è l’uomo più moderno del Pianeta, smuove le coscienze»
Aperta nella settimana del summit preparatorio alla Conferenza Onu sul clima, Amâzonia è un viaggio radicale nel "cuore del mondo", come i nativi chiamano la regione. Non per curiosare, ma per contemplarla dal di dentro, entrandovi in sintonia. «Chi lo farà seriamente, con sincera apertura, non sarà più la stessa persona. Posso garantirlo».
Perché dovrebbe accadere?
Quando conosciamo l’Amazzonia ci sentiamo intimamente uniti ad essa. E allora smette di essere una regione lontana, un problema altrui. È parte di noi, di tutti noi. Per questo non possiamo lasciarla morire.
È davvero così in pericolo?
Lo è, soprattutto la parte brasiliana a causa di un governo preoccupato solo di garantirsi il sostegno dei proprietari terrieri e dei cacciatori di risorse. L’Amazzonia ha, dunque, necessità dell’aiuto di ciascuno di noi. Attraverso Avvenire – di cui conosco l’ispirazione cristiana – vorrei rivolgere un appello ai credenti e ai cattolici in particolare. Io non lo sono ma so che al cuore del Vangelo c’è l’impegno in favore dell’umanità. Per questo chiedo ai cristiani di mobilitarsi per l’Amazzonia, seguendo l’esempio di papa Francesco. È una regione cruciale per la sopravvivenza del pianeta e di tutti i suoi abitanti. Spero che questa mostra aiuti gli italiani a comprenderlo in profondità.
Perché l’Amazzonia ci riguarda come umanità e, dunque, anche come Italia?
Perché dipendiamo da lei. L’Amazzonia concentra la maggiore biodiversità del pianeta. Ed è l’unico luogo al mondo le cui piogge non sono regolate dall’evaporazione dell’oceano. Ogni albero, bensì, funge da aeratore e, come tale, risucchia l’acqua dalla terra, fino a 60 metri di profondità per poi rilasciarne nell’aria anche mille litri al giorno. Da questo nascono i cosiddetti "fiumi volanti", la cui portata è maggiore perfino del Rio delle Amazzoni. Il sistema è fondamentale per l’andamento globale delle precipitazioni.
Fra un mese i Grandi si riuniranno a Glasgow per decidere che cosa fare per contenere l’emergenza climatica. Che cosa chiederebbe loro?
Il summit Onu di Glasgow è fatto da persone provenienti dalla città. Chiederei ai leader mondiali di dare spazio e voce al tavolo delle decisioni al mondo rurale. Non parlo dei latifondisti ma dei piccoli contadini. Sono loro a prendersi cura materialmente del pianeta. Perché non aiutarli non solo a preservare l’ambiente ma a "ricostituire" la biodiversità perduta? Il sistema industriale può accedere ai cosiddetti "crediti di carbonio". Proporrei di prevedere degli incentivi affinché gli agricoltori possano rinunciare a coltivare una parte delle loro terre e a piantarvi alberi. La chiave per risolvere la crisi climatica è eliminare l’imperialismo del mondo urbano su quello rurale e integrare questi due universi.
E al presidente del suo Brasile, Jair Bolsonaro, che cosa chiederebbe?
Di dimettersi. Sta facendo un disastro dopo l’altro. È completamente incapace di governare.
Ha citato prima papa Francesco. Crede che il suo impegno per l’ecologia integrale e l’Amazzonia siano importanti?
Non importanti, fondamentali. La sua voce di leader morale smuove le coscienze. Considero il Pontefice uno degli uomini più moderni del pianeta. Sono i giovani a comprendere la gravità dell’emergenza ecologica e a mobilitarsi. Pochi adulti si sono schierati al loro fianco. Papa Francesco è l’eccezione.
Prima economista poi famoso fotografo, lei ha conosciuto in profondità le pieghe del Novecento. Che cosa hanno insegnato i popoli indigeni al "maestro" Salgado?
Che anche io sono natura. Noi esseri umani siamo una specie fra molte altre. La grande sfida a cui siamo chiamati è vivere in equilibrio. Perché siamo collegati.
(Ha collaborato Alessandro Galassi)
Il ritratto di uno sciamano del popolo Yanomami nel cuore della foresta. Una delle immagini che al Maxxi di Roma raccontano l'Amazzonia - Sebastião Salgado-Contrasto/Maxxi