Trump al lavoro all'ospedale militare del Maryland - Reuters
Il medico della Casa Bianca, Sean Conley, ha affermato che il presidente Donald Trump ha fatto progressi sostanziali, è senza febbre e non ha bisogno di ossigeno. "Anche se non è ancora fuori pericolo - ha detto Conley - il team di medici che lo sta curando rimane cautamente ottimista". Trump, in un videomessaggio pubblicato ieri sera su twitter, in cui appare vestito con un abito ma senza cravatta, ha detto che i prossimi giorni saranno il vero banco di prova, ma che già si sente meglio rispetto a prima. "Penso che tornerò presto, perché dobbiamo rendere l'America ancora grande", ha aggiunto il presidente Usa citando uno slogan della sua campagna elettorale.
Un celebre dipinto di Nicolas Poussin si intitola «Et in Arcadia ego», con trasparente allusione alla morte che perfino nell’idilliaco luogo eletto delle ninfe e dei pastori è in grado di infiltrarsi. E ora che il Covid-19 ha violato i muri della Casa Bianca e sta traumatizzando l’America molte domande senza risposta si rincorrono. E se Trump si ritirasse? E se al suo posto subentrasse Mike Pence e all’ultima curva nominasse un vicepresidente donna? E se Joe Biden deragliasse per eccesso di sicumera?
A un mese esatto dal fatale 3 novembre gli interrogativi attorno al presidente si moltiplicano. E ogni scenario, perfino il più fantasioso, ha pur sempre un quid di verosimiglianza. Cominciamo da Trump. Beffato come un Boris Johnson qualsiasi dal destino che perseguita gli smargiassi, il presidente è azzoppato non tanto dal Covid, quanto dal dileggio che ne aveva costantemente fatto. Ora, contagiato dal virus per effetto di una nemesi che punisce la sua hybris (una tracotanza clamorosamente pari alla sua ignoranza), condivide la sorte di 7,3 milioni di americani, ai quali aveva a suo tempo garantito che si trattava di un raffreddore o poco più. Difficile perdonarglielo, con oltre duecentomila vittime sullo sfondo.
Più facile invece chiudere un occhio sulle sue presunte malefatte fiscali: da trent’anni i thriller di John Grisham illustrano a meraviglia il vizietto americano di scapolare con ogni sotterfugio dalle tenaglie del fisco. Nondimeno Trump ora è un candidato dimezzato. Niente comizi, niente trasferte, niente strette di mano. E si parlerà solo di Covid, invece che di America da rendere ancora più grande.
Lui promette che andrà avanti a colpi di tweet. È quello che ha sempre fatto finora ed è un’arma che ancora funziona. E chissà – azzardano i suoi – che l’assenza fisica forzata dalla massa dei suoi fans non finisca per giovargli. Veniamo dunque a Mike Pence, il vicepresidente amato dalla destra religiosa evangelica (lui stesso da cattolico si è fatto born again christian, “cristiano rinato”), garante di quel radicalismo che assomiglia a quello di Trump ma è privo della demagogia rodomontesca del Commander in chief.
Conservatore, fiero avversario dell’aborto e dei diritti dei Lgbt, potrebbe sfoderare una carta molto promettente per l’elettorato moderato, non solo repubblicano: quella dell’ex rappresentante permanente alle Nazioni Unite e governatore del South Carolina Nikki Haley, donna e di etnia sikh, fiera avversaria dell’Iran e della Corea del Nord, verso cui si è varie volte detta favorevole a un intervento militare.
A suo modo Pence beneficia di una verginità d’immagine derivatagli dall’ingombrante e totalizzante presenza del suo presidente. Se per avventura The Donald si facesse da parte per problemi di salute (che nessuno ovviamente gli augura) o per calcolo politico (sa per certo che perderebbe con un tale disavanzo da rendere inutile una riconta dei voti), Pence qualche chance di sormontare il divario di circa 8 punti che lo separa da Joe Biden potrebbe averla. Passiamo ora a «Sleepy Joe». Il timore degli strateghi democratici è esattamente l’opposto di quelli repubblicani.
Temono cioè che Biden, svuotatasi inaspettatamente l’arena a causa del Covid-19, strafaccia. Ovvero straparli, dissipi quel vantaggio accumulato più per la tonante e ossessiva oratoria di Trump che per i suoi reali meriti.
Biden è un quiet american, selezionato dal partito democratico essenzialmente per impedire che si candidasse Bernie Sanders, andando così incontro a sconfitta sicura. «Il meglio che potrebbe fare è stare sottotraccia», mormorano in parecchi. Ma lui probabilmente non lo farà. «Sempre che non si ammali anche Joe», fa gli scongiuri il suo staff. Chissà, si domanda il “New York Times”, se The Donald avrà imparato la lezione. Perché in fondo ogni cosa nell’America dei Padri Pellegrini finisce per diventare una «morality tale», un racconto morale. Ma non siamo sicuri che Trump, l’uomo che irrideva beffardo alla mascherina, sia disposto a capirlo.