Il sito archeologico di Palmira era caduto nelle mani del Califfato nero di Abu Bakr al-Baghdadi lo scorso 20 maggio e da allora è stato usato come
palcoscenico per efferatezze e violenze. In un video recuperato all'inizio del luglio 2015 dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), vennnero mostrate immagini choccanti: venticinque soldati siriani inginocchiati, alle loro spalle altrettanti giovani, alcuni ragazzini di forse 13 o 14 anni, che li uccidevano con un colpo alla nuca mentre sulle gradinate dell'anfiteatro si vedevano centinaia di uomini in abiti civili che assistono.
Dichiarata dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità la città fiorì nell'antichità come punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano ed ebbe un notevole sviluppo fra il I ed il III secolo dopo Cristo. Per questo motivo fu soprannominata la «Sposa del deserto». Il nome greco della città, «Palmyra», è la traduzione fedele dall'originale aramaico, Tadmor, che significa “palma”. La città è citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani.Poi venne
incorporata nell'impero romano e Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò, per cercare di difenderla dalle mire dei Sasanidi facendo costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica.
Per timore di distruzioni, centinaia di statue e reperti del sito siriano 240 chilometri a nord-est di Damasco sono stati trasferiti in altre località già prima dell'assalto finale del Daesh.