giovedì 27 gennaio 2022
Il vescovo di Cremona risponde alle domande dei giovani sugli affetti. «I ragazzi non hanno bisogno di prediche ma di una comunità che crei le condizioni per scelte di vita robuste e coraggiose»
Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni dialoga con i giovani nel Duomo di Milano a uno dei tavoli sugli Affetti dell'evento di lancio di Giovani e Vescovi, il 6 novembre

Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni dialoga con i giovani nel Duomo di Milano a uno dei tavoli sugli Affetti dell'evento di lancio di Giovani e Vescovi, il 6 novembre

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«L’incontro dei vescovi lombardi con i giovani a Milano è stato profetico». Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni commenta così il cammino di "Giovani e Vescovi" che in questi mesi sta coinvolgendo le diocesi della Lombardia. Durante la prima tappa del cammino, il 6 novembre in Duomo, il vescovo dialogò con i ragazzi proprio sul tema degli Affetti. Gli rilanciamo le loro domande.

Cosa c’entra Dio con le relazioni di affetto?

La rivelazione cristiana dice che Dio è amore e che proprio così si è fatto vicino all’uomo. L’amore è impalpabile eppure concretissimo, umano e insieme superiore alla vita dell’uomo. Scoprire il suo alfabeto è un compito scritto nel nostro Dna e quando non ce ne rendiamo conto siamo inariditi, soli, senza un senso, quindi infelici. Il mistero della vita si scopre soprattutto con gli affetti, le relazioni, gli incontri. Il nostro io non è fatto per specchiarsi in se stesso, ha bisogno di un tu, che poi diventa un noi.

Tanti giovani hanno raccontato la difficoltà di impegnarsi nelle relazione con gli altri. Come risponde?

I giovani non hanno bisogno di prediche, ma di una comunità che crei le condizioni giuste per scelte di vita robuste e coraggiose. È poi importante sfatare il mito dell’auto-realizzazione individualista e materialista e imparare a scegliere l’essenziale, senza appesantire la vita di ciò che poi la blocca nei suoi slanci di generosità. Molti dicono che il “per sempre” intimorisce, invece io credo che possa darci grande forza se riposa nel rapporto con Dio, che ha un suo “per sempre” fatto di fedeltà, perdono e possibilità di risorgere dalle sconfitte.

I giovani hanno chiesto che si parli anche di sessualità. Che parola ha da dire la Chiesa sul tema?

Siamo grati a san Giovanni Paolo II che più di altri ha cantato l’amore umano tramite le sue catechesi. Ha riaperto una riflessione che la Chiesa ha temuto e su cui ha dato indicazioni morali, certamente motivate, ma che prima di essere vissute vanno gustate nel loro senso. La sessualità è dono di Dio e manifesta la possibilità di fecondità e la bellezza dell’unione, che sono i due fini del matrimonio, a pari dignità. È molto importante allora che non sia isolata e assolutizzata: il sesso fa parte dell’affettività e questa fa parte della personalità, in un’armonia di diverse componenti. Su questo dobbiamo dialogare con apertura e capacità di ascolto e annuncio.

Spesso le regole della Chiesa sugli affetti sono percepite come dettami che limitano la libertà. Qual è il loro senso?

La dialettica tra legge e libertà appartiene a ogni convivenza umana e a ogni coscienza, sono polarità da collegare sapientemente. Esiste una libertà che si esercita nel dire: “Questo voglio, e dunque a questo rinuncio”. Così le regole non sono diminuzioni, ma coerenza ai valori che voglio raggiungere. Sembrano apparenti antinomie, ma sono i punti cardinali di una bussola che ha come meta la nostra gioia piena.

Alcuni giovani hanno raccontato di essere stati esclusi dai propri contesti parrocchiali per aver scelto di convivere. Altri, lgbt e credenti, condividono la sofferenza di essere al centro di narrazioni colpevolizzanti. Cosa dice loro?

Prima mi chiedo cosa dire a noi adulti. I giovani sono nostri figli e se ci sono cose che ci sconcertano queste sono state in qualche modo generate da una difficoltà di comunicazione. Gli adulti devono essere meno giudicanti e più educanti. Detto questo, la comunità cristiana si crea tra l’uomo e la pienezza di senso che Dio custodisce per ciascuno. Per questo siamo chiamati a ideare percorsi di fede possibili per ognuno. Credo che con il Vangelo troveremo sempre le vie per un accompagnamento rispettoso della persona. Il Papa ci educa all’accoglienza, non per svendere valori e mete alte del cammino di fede ma per renderli possibili a tutti e perché nessuno si senta emarginato o condannato senza appello.

I giovani hanno chiesto che nasca una “Scuola dell’amore”. Come si può fare?

La loro domanda è affascinante e ci chiede di rinnovare linguaggi e modalità a partire da una stima reale per ogni germoglio di vita, amore e futuro che cogliamo nei ragazzi. Possiamo metterci in ascolto delle loro esperienze, senza lasciarli soli ma senza la fretta di condizionarli. Poi andranno creati percorsi di evangelizzazione dell’amore, per capire che guadagno c’è nell’amarsi da credenti.

Cos’ha visto nei giovani lombardi che ha incontrato a Milano?

Proprio questi ragazzi, credenti e impegnati nelle realtà di Chiesa, hanno detto ai vescovi, con coraggio, ciò che secondo loro non funziona e che deve poter andare meglio nelle comunità cristiane. Per questo è stato un incontro profetico, un segno di speranza, ma anche una grande chiamata alla responsabilità.

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