Milano: l’arcivescovo Delpini al Giardino dei Giusti con i ragazzi di alcuni oratori ambrosiani - Fotogramma
«Il mio desiderio è che la visita al Giardino dei Giusti, come al Memoriale della Shoah e ad alcune esperienze concrete di accoglienza di minori non accompagnati, faccia parte della proposta ordinaria della diocesi agli adolescenti». Lo ha detto l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, dialogando con i cronisti a margine della visita – vissuta assieme a un centinaio di ragazzi di diversi oratori ambrosiani – al “Giardino dei Giusti di tutto il mondo”, come si chiama lo spazio di memoria, dialogo e educazione alla responsabilità realizzato sulla seconda balza del Monte Stella, alla periferia nord est del capoluogo lombardo, da Gariwo-Fondazione Foresta dei Giusti, Comune di Milano e Unione delle Comunità ebraiche italiane, e dove sono ricordati le donne e gli uomini che hanno aiutato le vittime dei genocidi, delle persecuzioni e dei regimi totalitari.
I giusti qui commemorati, «molti dei quali mossi da una profonda motivazione religiosa», e appartenenti a fedi diverse, «dicono che quando c’è una situazione problematica, una discriminazione insopportabile, un’ingiustizia – ha sottolineato il presule – ci dev’essere qualcuno che dica: io non sono d’accordo». E questo vale nel mondo come a Milano. E vale nella Milano di ieri – «al tempo dell’occupazione nazifascista e della persecuzione contro gli ebrei», quando «l’ingiustizia era evidente e la prepotenza era sfacciata» – come nella Milano di oggi, dove «la situazione è forse più complicata ma meno drammatica», tuttavia non mancano «ingiustizie» come «quelle dei ricchi verso i poveri», o quelle «di chi si appropria di parti della città» per i propri interessi «scatenando forme di violenza quotidiana che sono un male da estirpare». Comprese quelle forme di violenza che possono chiamare in causa il «non sono d’accordo» di un adolescente, come «il bullismo nelle scuole, o le violenze che si perpetrano per le strade, o fuori dalle discoteche». Tutti possono fare qualcosa. «Rendere abituale la convivenza civile a Milano – ha affermato Delpini – non dipende solo dalle forze dell’ordine o da forme di vigilanza e contenimento: dipende dalla coscienza delle persone che si mettono in mezzo e dicono che non è giusto che i forti si approfittino dei deboli, chi ha le armi si approfitti di chi è disarmato e chi è prepotente possa fare quello che vuole».
La visita al Giardino dei Giusti ha fatto da terza e ultima tappa all’iniziativa “L’arcivescovo ti invita”, promossa dalla Fondazione oratori milanesi (Fom) e proposta come occasione rivolta agli adolescenti per “uscire” dall’ambito parrocchiale e conoscere – in compagnia di Delpini – luoghi di particolare valore storico, sociale e umano. A dicembre alla comunità “Il Seme”, che accoglie minori stranieri non accompagnati in un oratorio milanese, e a gennaio al Memoriale della Shoah, nella Stazione Centrale di Milano, le prime due tappe. La sera di mercoledì 20 marzo la terza, al Giardino dei Giusti – il luogo che lo stesso Delpini aveva indicato e «voluto più di tutti», al momento di ideare questo percorso, ha ricordato don Stefano Guidi, direttore della Fom.
Milano: foto di gruppo per i partecipanti alla visita al Giardino dei Giusti. Al centro: il presidente di Gariwo, Gabriele Nissim, l’arcivescovo Delpini e Elena Buscemi, presidente del Consiglio comunale di Milano - Fotogramma
Sant’Agnese di Somma Lombardo, San Martino di Vergiate, San Giovanni Battista di Montevecchia, Santo Stefano di Osnago, Santa Maria Assunta di Golasecca, e tre parrocchie di Milano città – Santa Maria Assunta in Certosa, Santa Maria Goretti e San Martino in Greco – le comunità di provenienza dei ragazzi. Ad accoglierli, Elena Buscemi, presidente del Consiglio comunale di Milano («qui sono ricordate persone che hanno saputo compiere gesti che hanno interrotto la catena del male, il loro messaggio è il no all’indifferenza») e Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, cofondatore e anima del Giardino («questo luogo celebra la bellezza della persona buona, che fa il bene, anche sfidando prove e persecuzioni, perché vuole stare bene con se stessa e vuole essere felice»).
Lasciato l’anfiteatro del Giardino i ragazzi, divisi in gruppi, sono stati affidati alle guide che li hanno accompagnati alla scoperta delle figure alle quali sono dedicati gli alberi, i cippi e le targhe collocati sul fianco del Monte Stella. Donne e uomini di diversi Paesi, culture, religioni. Anche coetanei dei ragazzi in visita. O legati a Milano e alle terre ambrosiane, come Fernanda Wittgens, direttrice della Pinacoteca di Brera, monsignor Giovanni Barbareschi, prete “ribelle per amore”, e Giuseppe Sala, presidente del Consiglio superiore dell’Opera San Vincenzo, i quali, durante la Seconda guerra mondiale, rischiarono in prima persona per proteggere e salvare ebrei, antifascisti e prigionieri alleati.
Infine, tutti di nuovo all’anfiteatro. Dove Delpini ha consegnato ai ragazzi «tre parole per incoraggiare a intraprendere la strada della giustizia. La prima: il coraggio di essere originali. Se il contesto è ostile al bene e orientato all’individualismo egoistico, essere originali significa prendersi cura degli altri, anche solo con gesti semplici verso i propri coetanei. Ma l’originalità può portare alla solitudine. Perciò – ed è la seconda parola – bisogna avere in sé un principio di resistenza, fondato nella coscienza, nella preghiera, nel dialogo con Dio, per non lasciarsi andare nella corrente, per non cedere al conformismo. La terza: stare dalla parte del debole, non del forte. Significa, ad esempio, opporsi a ogni forma di bullismo, all’umiliazione di altri ragazzi magari perché stranieri, o perché parlano male l’italiano, o hanno disabilità fisiche». In tempi di «individualismo, pessimismo, rassegnazione», essere anticonformisti significa «fare il bene e vivere contenti» con la «fierezza di questa originalità». Infine, un invito: «Tornati a casa – ha suggerito l’arcivescovo – ciascuno costruisca il suo piccolo “giardino dei giusti” con le persone che conosce, e che magari non sono famose ma meritano di essere ricordate. Perché è grazie ai giusti che l’umanità va avanti».